venerdì 9 settembre 2011

The Shock Labyrinth Extreme 3D



The Shock Labyrinth: Extreme 3D 
Giappone, 2009. Di Takashi Shimizu. Con Yuya Yagira, Ai Maeda, Suzuki Matsuo, Ryo Katsuji, Shôichirô Masumoto. Genere: Horror. Durata: 96'

Yuki torna dai suoi amici di infanzia dopo essere scomparsa per dieci anni, scatenando non poco panico. Il suo ritorno farà riaffiorare traumi e ricordi, e li porterà, per una serie di vicissitudini, in un ospedale abbandonato, dove Yuki, dieci anni prima, era scomparsa. Fatti strani iniziano ad accadere e i ragazzi, uno dopo l'altro, iniziano a morire...

Visto al cinema, in 3D, con due amici, "Shock Labyrinth" è innanzitutto un film sui fantasmi dell'anima, più che un horror vero e proprio. Un horror psicologico che gioca ad incastri, carambolando salti temporali e colpi di scena. Ciò che ne esce fuori è un affresco che, solo all'inizio spiazza per la sua complessità, ma più procede e più i pezzi si ricompongono, più diventa intrigante e spinge lo spettatore in un vortice irresistibile.

Shimizu, con una filmografia invidiabile (salvo i due remake di "Ju-On", girati forse per pagarsi il mutuo), torna alla complessità filosofica dei suoi film più noti: dalle scomposizioni e ai deliri di "Reincarnation" (dove tornano anche le bamble a cui si squarciano gli occhi), alle introspezioni psicologiche di "Ju-On".

Quello che ne esce è un film che, solo di facciata si dimostra un horror per adolescenti, ma che dietro nasconde un'anima molto più profonda di quanto ci si aspetti. Shimizu è un mago nel creare tensione e la suspense (pochi, tuttavia, e per fortuna, i salti sulla potlrona) è tenuta benissimo, giocando sulle ombre, i rumori, le atmosfere. L'ospedale abbandonato, la prigione e il parco giochi sono ambientazioni già viste nel cinema dell'orrore, ma sotto la mano del regista giapponese diventano ambientazioni terrificanti e claustrofobiche.

Uniche pecche: un 3D abbastanza inutile, visto che si lega perfettamente solo ad un paio di scene, una recitazione abbastanza scadente e sopra le righe e un colpo di scena abbastanza prevedibile, che viene, tuttavia, riscattato da una chiusura veramente di classe. Ed è la tecnica di Shimizu a prevalere ,con una fotografia a dir poco straordinaria e una regia che gioca con i movimenti fluidi, che avvolgono e opprimono.

Insomma, il miglior ritorno che ci si poteva aspettare da uno dei maggiori padri dell'horror giapponese (mentre il Nakata di "Ring", ormai, ha perso la strada del ritorno), con una sceneggiatura per lo più riuscita, salvo qualche piccolo buco, ricca di suggestioni sempre inquietanti, sebbene, ricorrenti nella filmografia dello stesso (ossessioni infantili portate al limite horror, gli oggetti - il coniglio di pelouche, il palloncino- come tramite del rancore, l'amore che porta alla morte).

Un gran bel film.



IL MIO VOTO: 8.0






Trailer:





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