sabato 31 dicembre 2011

Parade





Parade
Giappone, 2010. Di Isao Yukisada. Con Shihori Kanjiya, Karina, Tatsuya Fujiwara, Kento Hayashi, Keisoke Koide. Genere: Drammatico. Durata: 119'. 

Quattro ragazzi convivono in un piccolo appartamento di Tokyo. Naoki lavora in una società cinematografica, Mirai è una disegnatrice con qualche probelma d'alcool, Ryosuke studia, Kotomi è disoccupata e aspetta il ritorno del suo ex-ragazzo, un attore di soap opera. Un giorno, nella loro vita, irrompe Satoru, un gigolò omosessuale bizzarro nel look, che si insinua nel loro appartamento. Sebbene dica che sia stata Mirai a invitarlo a casa dopo una serata di bevute, lei non lo ricorda. E attraverso la figura di questo strano ragazzo, la quiete nella casa comincia ad incrinarsi, fino a raggiungere il delitto. 

Porca vacca. Isao Yukisada stupisce. Dopo esser passato per il cinema più spudoratamente commerciale (il tearjerker "Crying Out Love To The Center Of The World", il corto "Sinking In The Moon" girato spudoratamente per la diva del pop giapponese Ayumi Hamasaki), eccolo approfare quest'anno con quello che è un potentissimo pugno nello stomaco. Un film cattivo e disperato che mai ci saremmo potuti aspettare, men che meno da uno come lui. E invece, eccolo qua. "Parade", che parte come un film sull'insicurezza di crescere, di vivere e diventa ben presto il grido di un'intera generazione, potentissimo nella narrazione quanto delicato nella regia (bellissimi gli usi dello sfuocato in primo piano), è un ritorno in grande stile, sicuramente non esente da difetti e sbavature, ma senzadubbio lo si può definire un gran bel film, giustamente vincitore del premio Fipresci 2010.

Attori eccellenti, a partire da Kento Hayashi, che interpreta alla perfezione il freak che ama intrufolarsi nelle vite altrui e spiarne le case (come il Tae-Suk di "Ferro 3"?), dall'ottima performance di Tetsuya Fujiwara, a quella di Karina, eccentrica femme fatale. 

E nel finale, il vero colpo di coda, violento come un pugno. Si vive insieme, si ama, ma non ci si conosce. Forse la soluzione è ferire, in modo da aiutare almeno sè stessi. No, si sta peggio. Il male di vivere secondo Yukisada, mai così cinico, mai così sincero.

IL MIO VOTO: 9.0








Salò O Le 120 Giornate Di Sodoma





Salò O Le 120 Giornate Di Sodoma
Italia, 1975. Di Pier Paolo Pasolini. Con Paolo Bonacelli, Aldo Valletti, Caterina Boratto, Hélène Surgère, Sonia Savanage, Giorgio Cataldi, Umberto Paolo Quintavalle. Genere: Drammatico/Grottesco. Durata: 114' 


Una grottesca parata delle perversioni umane sotto il segno di un'eleganza stilistica e formale di grande bellezza, non individuale, ma universale, dove viene rappresentata la subdola anarchia di un potere autoritario, capace di organizzare una deviata massa di automi  portati alla depravazione.
Così come i discorsi della narratrice sono sì volgari, ma densi di vocaboli raffinati e altezzosi, il film è tutto un gioco di proporre l'unione tra sacro e profano, eleganza e volgarità, bellezza e pornografia.
Gli uomini (sia le vittime che i carnefici) non sono altro che bestie. Mangiatori di escrementi. Chi sopravvive lo fa sorridendo degli altri che soffrono, a cui viene strappata la carne, le membra, gli occhi...
Siamo tutti animali in fondo, animali che seguono il branco (i ragazzi vengono ridotti a cani), dove i sentimenti (l'amore, l'elaborazione del lutto) vengono brutalmente penalizzati, perchè non si possono provare sentimenti in una società perfettamente organizzata come una macchina fredda. Perchè non esistono lacrime per chi danneggia il sistema dal suo interno. 

Un'estrema e succube rappresentazione di un potere fin troppo estremo e crudele, tristemente verosimile nel suo imporre gli ordini più desolanti e maligni, pronti a distruggere la sua popolazione .

Chi è fragile soffre. Si uccide. Persino chi sembrava forte.
Mentre gli altri si masturbano osservandolo.

In conclusione: un film estremo. Sconsigliato a chi non trova un senso nelle perversioni più disgustose.
Un film che lascia spiazzati tutti. Chiunque.
Anche a chi, come me, è parecchio avvezzo a molto cinema estremo.
Comunque sia: capolavoro, se non IL capolavoro del cinema nostrano, capace di colpirci a cazzotti in faccia e mostrarci l'immostrabile con eleganza e voluttuosità, facendoci capire che è inutile sottrarsi ad un film che ferisce, sconvolge e riempie di sporcizia l'anima dello spettatore, perchè nel mentre è capace di accarezzarti, masturbarti, baciarti sulle palpebre chiuse. è il magico incanto Pasoliniano: così morboso, massacrante, caustico. è il film che ha chiuso, purtroppo, in bellezza la sua carriera e che anche rivisto oggi, mantiene inalterato il suo devastante fascino .



IL MIO VOTO: 10.0















venerdì 30 dicembre 2011

Pantasya




Pantasya
Filippine, 2007. Di Brillante Mendoza. Con Mark Dionisio, Justin De Leon, Harold Montano. Genere: Drammatico/Erotico. Durata: 87'. 

Il film, suddiviso in cinque episodi, studia l'universo omosessuale maschile e il feticcio delle uniformi, con storie d'amore sbilenche tra un taxista e un suo cliente, tra un fattorino e un uomo d'affari, tra il proprietario di una casa e un elettricista che sta installando una linea telefonica e tra un uomo deluso dall'amore e una guardia notturna. In un altro episodio, invece, un ragazzo diventa conscio della sua omosessualità seguendo dei giocatori di basket nelle doccie, dove fanno tutto fuorchè lavarsi...


È strano vedere un’incertezza, una natura acerba e un’imperfezione innaturale in un film di Brillante Mendoza, che dall’essenzialità e dal minimalismo ha saputo trarne forza e potenza visionaria, soprattutto in due capisaldi della sua filmografia come “Kinatay” e “Lola”. Pur avendo dei suoi momenti di impennate visionarie e di grosso controllo dell’immagine, che da sempre caratterizza il geniale autore filippino, infatti, “Pantasya” sembra soffrire di una certa tendenza verso la piattezza narrativa, verso una mancanza di un vero e proprio collante tra storie che tentennano per il loro eccessivo melodramma, spesso scoperchiato da un voyeurismo erotico che esplode tra le luci e le ombre della città, di uffici, di docce, spogliatoi.

E c'è un tuffo immediato nei clichè gay che caratterizzano un'opera interessante, ma un po' ingenua: dai deretani marmorei sotto l'acqua che scorre ai poliziotti, passando per il ragazzo confuso e quello risoluto che sa quello che vuole, infarcendo le deboli sceneggiature dei vari episodi (escluso quello, bellissimo, del rapporto tra il fattorino e il businessman, corredato da un'eccellente intesa e un gusto morboso che non guasta mai) di maggiore pesantezza, a cui poi ci si aggiungono persino un'inqualificabile recitazione (ma dove li hanno raccattati? Dov'è Coco Martin?) e un'orrenda quanto ripetitiva colonna sonora ambient, che fa tanto tappeto sonoro.


Un film che deluderà i fans del geniale regista filippino, ormai navigato nell'altissimo cinema e spiace vederlo in questo capitombolo, soprattutto quando fu pubblicato dopo il buonissimo "The Masseur", debutto con i fiocchi. 
Resta comunque un film con più di un buono spunto, ma lascia l'amaro in bocca. Per fortuna, il nostro amato Mendoza si rifarà.

VOTO: 6.0









mercoledì 28 dicembre 2011

A Good Day To Have An Affair



A Good Day To Have An Affair
Corea Del Sud, 2007. Di Jang Moon-il. Con Kim Hye-Soo, Yoon Jin-Suh, Lee Jong-Hyuk, Lee Min-Ki. Genere: Commedia. Durata: 103'

Due casalinghe sposate e insoddisfatte trovano in una chat d'incontri la loro occasione per dare una svolta alla loro vita. "Goccia Di Rugiada" vorrebbe scoprire il sesso da un ragazzo molto più giovane di lei, uno studente universitario totalmente inesperto in materia e "Uccellino" vorrebbe solo trovare un amico con cui sfogarsi, ma l'uomo prescelto vorrebbe puntare decisamente ad altro. Le donne finiscono spesso nello stesso motel per i loro incontri e, le loro strade, sono destinate ad incrociarsi, con conseguenze inaspettate...

Commedia all'acqua di rose, che scorre bene e non annoia, ma non osa oltre l'osabile e narra senza sorprese né scossoni, fino ad un finale abbastanza deludente. è comunque un film che riesce nel tentativo di coinvolgere e intrattenere con leggerezza, riuscendo a surclassare molto cinema romantico coreano che si smoscia a metà film. 

Questo, almeno, nonostante qualche vano tentativo di commuovere verso la fine, riesce ad essere coerente con le sue intenzioni: non è una commedia per sganasciarsi, ma è un film sul significato del vero amore, che resta un'illusione, sull'importanza del matrimonio, descritto come una burocratizzazione di un amore che si spegne e sulla tendenza dell'essere umano verso il sesso prima ancora che al dialogo.
Film che è, quindi, meno stupido di quanto si possa pensare, ma che, appunto, non approfondisce e non aggiunge nulla di nuovo all'argomento, lasciando un po' a bocca asciutta. 

"A Good Day To Have An Affair" è un film che ha il giusto ritmo e riesce a far sorridere più volte e a farti immedesimare con dei personaggi che, sebbene un po' sopra le righe (lo studente imbranato, la gatta morta) riescono a mantenere una certa verosomiglianza, aiutati anche da attori eccellenti (tra cui una splendida Hye-Su Kim, già apprezzata per la sua dolente e incredibile performance nell'ottimo horror visionario "The Red Shoes"). 

Dal punto di vista tecnico, invece, è il classico film commerciale coreano: regia curata e pulita, ma abbastanza anonima, così come una fotografia colorata e curata nel dettaglio, senza troppa personalità.
Un film pensato per il pubblico, soprattutto femminile, che non si esenta da un pizzico di erotismo, toccando anche momenti da vero e proprio action-movie (quando la polizia irrompe nel motel). Insomma, da vedere se si ama il genere o se si cerca qualcosa di estremamente leggero, ma non sciocco, per tutti gli altri, prescindibile. Sulla sufficienza.

VOTO: 6.0












lunedì 26 dicembre 2011

Disturbia



Disturbia
USA, 2007. Di D.J Caruso. Con David Morse, Shia Labeouf, Sarah Roemer, Carrie-Anne Moss. Genere: Thriller. Durata: 103' 


Prendete un capolavoro Hitchcockiano, "La Finestra Sul Cortile", rimodernizzatelo e infarcitelo dei più tristi stereotipi del cinema commerciale per adolescenti, e otterrete "Disturbia", un film che di disturbante ha solo una sceneggiatura forzatissima e scritta male, dove l'elemento thriller, che dovrebbe essere la base fondante del film, diventa il contorno di un triste "American Pie", dove l'amico è sopra le righe, il protagonista è un decelebrato e l'unica ragazza è la gnocca che la da, senza preavvisi, ovviamente, al protagonista.
C'è poco da dire di un film che, anzichè puntare sulla suspense, mostra un grande armamentario tecnologico che fa tanto figo e le curve della protagonista femminile, l'unica del cast, tra l'altro, a dare un minimo di espressività al suo personaggio.
Perchè è imbarazzante leggere gli elogi sulla banale performance di Shia Labeouf , che quando non è arrapato, ha un'espressione basita stampata sul volto. 

E mi raccomando, recuperate il thriller nella parte finale, altrimenti il vostro film non lo vedrà nessuno. Impennate con il ritmo, con le atmosfere e con le ombre e otterrete un minimo di suspense, in grado di portare il vostro prodotto sull'orlo dell'interessante. Ma poi, ricordatevi che avete nomi di spicco nel cast, quindi fregatevene, e buttate un finale inutile e prevedibile, dove tutti i buoni propositi, irrimediabilmente falliscono.
Film deludente, scritto male, raffazzonato e confuso, nonostante la linearità della storia, dove lo stereotipo del cinema di genere (il protagonista con trauma alle spalle) diventa solo uno specchio per le allodole e per lo sceneggiatore che, finalmente, può giustificare uno dei tanti buchi nella trama.

Da non vedere. Neanche se cercate intrattenimento leggero.



IL MIO VOTO: 3.0 










sabato 24 dicembre 2011

Lola



Lola
Filippine, 2009. Di Brillante Mendoza. Con Anita Linda, Rustica Carpio, Tanya Gomez, Jhong Hilario. Genere: Drammatico. Durata: 110'.

Due nonne legate dal crimine, dal dolore e dalla povertà. Il nipote di Sepa è morto in seguito al tentativo dell'assassino di rubargli il cellulare e tenta in ogni modo, sebbene la povertà che l'affligge, di regalargli un bel funerale.
Puring, invece, è la nonna dell'omicida e, poverissima, cerca dei soldi per pagargli la cauzione...


"Lola" di Brillante Mendoza è uno dei film più potenti che mi sia capitato di vedere di recente, mi ha sconvolto. La cattiveria sta tutta dietro quella bellezza inesprimibile dell'immagine, un magnifico gioco di contrasti che solo un artista sarebbe capace di creare. Se poi viene da uno come Brillante Mendoza, che sintetizza il dolore di un'intera nazione dietro drammi di outsider, l'emozione si fa ancora più forte ed è destinata a sconvolgere.

Manila che è una città caotica, con rumori forti, il colore grigio onnipresente (straordinaria la fotografia), che alterna momenti di grandezza metropolitana ad altri di povertà disarmante. I personaggi che ci fluttuano dentro, tra gli sguardi e l'acqua, che inghiotte. La recitazione non è mai troppo eccellente, soprattutto per quanto riguarda le comparse, ma le due nonne sono di una naturalezza talmente impressionante da indurre l'empatia: si sente il loro dolore, fortissimo, ma anche la loro lotta inesauribile. Mendoza è il grido del dolore non solo dei Filippini, ma di tutti gli uomini, e si nasconde dietro i suoi personaggi sull'orlo del fallimento per distruggere.

Mioddio. Brividi altissimi sul finale quasi monco, che nascodne il pugno spietato di Mendoza verso lo stomaco di chi vede.

Veramente notevole. So già che passerò la notte a pensarci. Grandissimo cinema.

IL MIO VOTO: 9.5









Kinatay - Massacro



Kinatay- Massacro
Filippine, 2009. Di Brillante Mendoza. Con Coco Martin, Mercedes Cabral, Julio Diaz, Maria Isabel Lopez, Johng Hilario. Genere: Drammatico/Thriller. Durata: 109' 


Benvenuti nel carnale inferno della marcia umanità.

Film splendido. Ancora una volta, Brillante Mendoza si dimostra un autore capace di comunicare con poco e di esprimere emozioni palpabili con la sola immagine, curata nei minimi particolari, alternando pellicola e digitale, inquadrature fisse e camera mobile. 

"Mi sono davvero sentito il testimone oculare di un terribile omicidio. Ho creduto a tutto ciò che ho visto" ha commentato Quentin Tarantino durante la proiezione al festival di Cannes e, per una volta, sono d'accordo con lui. Film enorme, fatto di sospirate inquadrature e vertigini, con una prima parte colorata, molto parlata e affollata, fatta di sequenze soffocanti dove non appaiono meno di dieci esseri umani e una seconda, invece, silenziosa, morbosissima, violenta e oscura. Un viaggio di formazione all'incontrario, dove l'innocente prende coscienza che l'irraccontabile è a due passi da casa sua e, dove, diventa improvvisamente complice.

L'omicidio di Madonna è tra i più brutali che si siano mai visti in una pellicola filippina e spiazza per il misto tra pudore e voyeurismo con cui è inquadrato. Meraviglioso il cast, su cui spicca, sicuramente, un bravissimo Coco Martin, attore feticcio di Mendoza, e capace di racchiudere in un solo sguardo smarrimento, dolore e determinazione.

Scena da non dimenticare: Peping, rimasto solo in un bagno pubblico, si guarda la fede nunziale e, convinto che sia sporca di sangue, la strofina con ostinazione, guardandosi continuamente allo specchio. 
Ed è il via verso una parte, dove ritorna il giorno e la sua gente, che sembra chiudere il cerchio, ma che inevitabilmente lo lascia aperto. 

Nel finale, che pare tronco, ma in verità è azzeccatissimo, il messaggio si palesa: la famiglia non è riunita e il bravo marito, macchiatosi del crimine, non sarà più lo stesso, abbandonando alla felicità domestica solo moglie e figlio. Disturbante, cattivo, ma anche talmente neorealista da lasciar sbigottiti, "Kinatay- Massacro" è uno di quei film che, pur non raccontando molto, resta impresso. Per sempre.

"Una volta persa l'integrità, è persa per sempre".



IL MIO VOTO: 9.5