lunedì 5 settembre 2011

Raffles Hotel





Raffles Hotel
Giappone/Singapore, 1989. Di Ryu Murakami. Con Miwako Fujitani, Jinpachi Nezu, Masahiro Motoki, Fawn Wong. Genere: Drammatico. Durata: 91' 


Moeko è un'attrice giapponese che, per un breve periodo, si trasferisce a Singapore, alloggiando al Raffles Hotel. Lì conosce la guida Yuuki, che comincia a provare per lei dubbi, ma anche attrazione. Moeko, non ha però dimenticato l'amante del suo passato e sta per fare una scelta difficile: ritrovarlo e abbandonare la sua carriera d'attrice.


Prima dell'enorme successo di un capolavoro indimenticabile come "Tokyo Decadence" (in Italia distribuito in una versione orribilmente monca), Ryu Murakami realizzò, due anni prima, questo strano, indefinibile film d'autore.

"Raffles Hotel" è un'altra riproposizione di un suo romanzo (tutti i -purtroppo pochi- film di Murakami, infatti, si basano sempre su suoi racconti narrativi, mentre altri suoi romanzi sono stati riproposti, ad esempio, da altri grandi registi come Takashi Miike per il meraviglioso "Audition"), dove Murakami abbandona completamente l'aspetto nichilista e anticonformista delle sue opere più famose ("Tokyo Decadence", "Tokyo Soup", "Blu Quasi Trasparente"), per addentrarsi in un dramma di superficie, dove persino la trama stessa cessa di avere importanza.

Perchè "Raffles Hotel" è un film che non ha mezze misure: o lo si adora alla follia, o lo si odia a morte. Seguendo lo schema di molti registi dell'incomunicabilità, come Antonioni e Fellini, il regista si sofferma sui rapporti inesistenti dei suoi personaggi, sugli sguardi e sui gesti. I dialoghi sono pochissimi, spesso non inerenti alla stessa narrazione, ma filosofici e profondi ("Voglio smettere di fare l'attrice perchè voglio ridere quando voglio ridere e piangere quando voglio piangere".), spesso invece minimi (diffusissimi i dialoghi del tipo "mi dispiace" o "Cos'hai?"). è un mondo di incomprensioni e delusioni quello descritto da Murakami, un mondo triste e decadente che si nasconde dietro la patina borghese di uno dei più lussuosi hotel asiatici.

Non è un caso, quindi, che se la prima metà del film si divide tra discoteche, suite, case lussuosissime, ville, la seconda parte è quasi tutta incentrata in una stanza oscura o nella foresta. Il film è criptico, ma leggero, mischiando il taglio documentaristico tipico del cinema di Murakami, distaccato e freddo alla bellezza di una poesia tipicamente surrealista (indimenticabile la piscina cosparsa di petali orchidee e l'idea, invero non troppo approfondita della resurrezione).

Ne esce un film assolutamente senza risvolti narrativi, eppure terribilmente affascinante e avvolgente. Unica nota di demerito: L'orribile colonna sonora, fatta di pop giapponese anni '80. Ma non sono le canzoni stesse ad essere brutte, quanto l'accostamento con le immagini, che non esiste.

Un film che sta molti gradini in basso a "Tokyo Decadence", ma che merita
comunque una visione.



IL MIO VOTO: 7.5

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