mercoledì 28 settembre 2011

Cure


Cure
Giappone, 1997. Di Kiyoshi Kurosawa. Con Koji Yakusho, Anna Nakagawa, Masato Hagiwara, Tsuyoshi Ujiki. Genere: Thriller. Durata: 111'
Il punto focale della narrazione di "Cure" è il non senso, la mancanza di nesso logico, l'impossibilità allo spettatore di immedesimarsi nel serial killer che sembra compiere brutali delitti, incidendo una "X" sulle ugole delle sue vittime.
In "Cure" persone normalissime, senza alcun precedente e senza apperentemente motivo, uccidono individui sconosciuti o parenti, spinti da uno spirito guida che li governa con l'ipnosi. È da qui che comincia il viaggio negli inferi del commissario Takabe, incredulo di fronte ad un mistero surreale, che dietro la sua mistica corazza di uomo di legge si nasconde una creatura fragile, abituata alle indagini tradizionali: prove, movente e, quindi spiegazione e risoluzione del caso.
Qui non c'è nessuna spiegazione e ciò basta a far crollare un castello di certezze costruito con fatica negli anni, insinuando in Takabe il germe della follia e della malattia, che lo porterà ad apparentarsi con i problemi mentali della moglie e ad immergersi in un vicolo buio senza uscita.
Di fronte al mistero più insolubile e all'assenza di movente le certezze dell'uomo vacillano e naufragono, lasciando via libera al caos più inconfutabile.
Dopo aver girato parecchi film a cominciare già dagli anni '70, il regista giapponese Kiyoshi Kurosawa viene, finalmente, riconosciuto dall'occhio occidentale con questo "Cure", del 1997.
"Cure" che scava nel pozzo dei generi per ricavarne nuova materia da modellare, a detta di Kurosawa "Il mio cinema è fatto di universi sfilacciati e inafferrabili, dove la ricerca della verità, di una ragione o di un motivo sembra arrivare a conclusioni vittoriose che poi però si attorcigliano sempre, si espandono verso confini che non si possono misurare, trasformando lavori che partono come storie di genere in abissi dell'incomprensibilità delle ragioni dell'uomo e delle sue azioni". Come dargli torto? Questo piccolo grande thriller, in fondo, parte assai normalmente con il ritrovamento del cadavere di una prostituta e Takabe nota l'esistenza di altri delitti con il medesimo modus operandi, ma più passa il tempo e più la storia si fa complicata e profonda, ai limiti dell'assurdo.
Non servono i fantasmi, le apparizioni dall'aldilà, le sanguinose vendette orientali e gli spettri folkloristici giapponesi per dare scompiglio e terrore. A Kurosawa interessa il mondo terreno, fisico e quotidiano: la realtà di ogni giorno può essere molto più inquietante del fantastico, dell'irrazionale, del mostruoso e in una società come la nostra un abile ipnotizzatore può diventare inaspettatamente un letale strumento di morte e distruzione.
Ed ecco che il climax delle musiche, la suspense che porta all'omicidio e la tentennante paura della vittima che si guarda attorno dopo aver sentito uno strano rumore non esistono più: Kurosawa ci mostra l'omicidio senza preavviso e senza l'ausilio di una colonna sonora (qui assente).
Un fulmine a ciel sereno, che coglie alla sprovvista lo spettatore, lasciandolo inebetito e spesso incredulo nel credere o meno a ciò che ha appena visto.
La regia, ancora una volta, è sorprendente: bellissimi piani-sequenza, montaggio ampio e rarefatto, raramente serrato e una messainscena sobria e asciutta, senza fronzoli.
Un'altra invenzione del cinema thriller o semplicemente di paura è l'assenza della colonna sonora: se per i registi (sia occidentali che orientali) di film horror, ma anche per gli ultimi film del terrore dello stesso Kurosawa la musica è importante per creare suspense e tensione, qui si propende il silenzio assoluto, che rende il suono ancora più cristallino e "vero" nella sua forma più pura.
Perché la vera colonna sonora di questo film è ciò che ci sta attorno, elementi della vita quotidiana: il vento che fa muovere le fronde degli alberi, le onde del mare che vanno a morire sulla spiaggia, una lavatrice in funzione.
Un piccolo teatro dell'assurdo, in cui tranciare le carotidi delle vittime con una "X" modellata con il sangue diviene uno strumento di riconoscimento e una firma personale, senza spiegazioni psicologiche o scientifiche, dove la perdita della memoria (l'ipnotizzatore, che non ricorda più nemmeno il suo nome) è uno specchio che riflette la perdita dell'identità di una nazione turbata e incerta, confusa e spaventata e dalla semplice domanda "chi sei? Come ti chiami?" non si può altro che rispondere "e tu chi sei?", creando un gioco potenzialmente infinito e snervante, ancora una volta senza soluzione logica e senza senso.
Splendidamente realizzato, con lunghi silenzi e una macchina da presa abile, "Cure" è un film da vedere assolutamente se si vuole vedere qualcosa di veramente nuovo, dove tutte le regole del thrilling vengono distrutte, senza lasciare risposta, dove gli attori sono uomini che hanno perso l'anima e la speranza, incapaci di andare oltre una realtà logica e ordinata, che ormai, non esiste più. Un capolavoro del (non)genere.
IL MIO VOTO: 10.0







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