mercoledì 28 settembre 2011

Pulse



Pulse
Giappone, 2001. Di Kiyoshi Kurosawa. Con Koyuki, Kumiko Aso, Koji Yakusho, Haruhiko Kato, Kurume Arisaka, Kenji Mizuhashi, Go Takashima, Atsushi Yuki, Shinji Takeda, Jun Fubuki. Genere: Horror. Durata: 119' 


"La Morte è un isolamento eterno" sospira a fatica uno spettro alla fine di questo "Pulse", un film che non vuole essere un semplice horror, non vuole spaventare, nè tanto meno scioccare con picchi di violenza insensata, vuole essere una profonda esplorazione del rapporto tra morte e solitudine, riuscendo a fare centro con grande classe, diventando, paradossalmente, un film spaventoso e uno dei più agghiaccianti in circolazione.
Non ci troviamo più di fronte ai soliti spettri della tradizione folkloristica orientale. Non esistono più le varie Sadako e Kayako, ma neanche Toshio, nè Mimiko, nè la Yoko di "Seance", film horror televisivo dello stesso Kurosawa. Diciamo Addio, quindi, alle ragazze dall'andatura catalettica, la pelle cerulea, i lunghi capelli corvini a celare lo sguardo pieno di sangue e vendetta: qui ci sono spiriti abbandonati a un destino vuoto, inghiottiti in un buco nero in cui la pace eterna non può giungere.
Sono spettri che implorano pietà: quell' "aiutami" sussurrato da ogni fantasma prima e dopo la sua apparizione è il simbolo di un popolo di anime perdute, sospese in un oblio senza meta, orfone in un Purgatorio oscuro e deprimente.
Kurosawa non si cura di come questi fantasmi possano raggiungere le reti informatiche, trasformando in ectoplasmi e spingendo al suicidio gli incauti internauti, ma esplica il terrore derivante dall'uso indiscriminato di uno degli strumenti tecnologici più rivoluzionari e potenti di questi anni, pronto a far naufragare i contatti umani e a ridurre la vita sociale attraverso un susseguirsi di freddi e atonali click del mouse, di rapporti virtuali spesso fittizi e di immagini che nascondono la realtà.
I personaggi sono freddi, passivi, senza più la loro personalità, la loro individualità, ad eccezione forse per lo studente Kawashima (guarda casa il meno esperto di informatica dell'intera pellicola) e circolano in un ambiente silenzioso che pian piano si svuota di vita: sale giochi vuote, autobus vuoti, metropolitane vuote, supermercati vuoti...
La pazzia dovuta al silenzio eterno, all'alienazione e alla solitudine è inevitabile, così come la morte. Eppure quell' "aiutami" pronunciato dai fantasmi pare una semplice e sincera richiesta di aiuto, un abbraccio, un legame con un mondo ormai perduto, il disperato tentativo di ritornare quelli che si era prima. Ma ciò che resta realmente di loro è solo una macchia di umidità sul muro. Un ricordo per chi ancora può permettersi di vivere.
Ed ecco che tra le maestose e struggenti riprese avvolgenti, lo sguardo stranito dei protagonisti e i silenzi, Kurosawa ritorna a inserire una colonna sonora in un suo film (il commento sonoro era totalmente assente nel capolavoro "Cure" e appena accentuato nello strano "Charisma"), che non è musica, ma un susseguirsi di rumori metallici sincopatici e taglienti, così disturbanti da mozzare il fiato, portando il terrore con potenza e intensità nelle sequenze in cui la raffigurazione della paura giunge all'apice.
Da ricordare l'agghiacciante, quanto splendida e poetica scena in cui una bellissima Harue dallo sguardo innamorato abbraccia il nulla e sussurra "Non sono più sola", mentre la telecamera la riprende con geniali scatti, pezzi di un gioco di specchi digitale. L'angoscia prende, così, inevitabilmente il sopravvento e l'unica cosa logica da fare è mettersi in fuga, non importa dove, forse in mare aperto per poi trasformarsi in inquietanti macchie di umidità sul muro, per poter lasciare un ricordo di sè in un mondo da abbandonare.
Un devastante capolavoro, da cui ne fu tratto nel 2006 un inguardabile e orrendo remake americano con attori insulsi e una sceneggiatura che sembra essere scritta su un pezzetto di carta igienica. Guardate l'originale e capirete che i fantasmi sono simili a noi: anche loro soffrono, anche loro vagano soli.
Harue: "Non c'è nessuno, chissà perchè non c'è nessuno"
Kawashima: "Io ci sono"
Harue: "Cosa?"
Harue: "Potrebbe scomparire l'intera umanità, ma l'importante è che ci sono io e che ci sei anche tu"
IL MIO VOTO: 10.0 




Trailer:



3 commenti:

  1. Ho appena finito di vdr questo film, spinto da questo tuo post. Non mi sento affatto di dire che è un pessimo film, anzi sono inspiegabilmente affascinato dalla sua silenziosa angoscia... Allo stesso tempo, sono preso da punti interrogativi: ad esempio, chi faceva le stanze proibite e soprattutto che funzione avevano?

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    1. Il film va letto in chiave metaforica. Tutti i film sperimentali di Kiyoshi Kurosawa, che sono praticamente i suoi thriller/horror, non hanno nulla di concreto, o molto poco. Questo non è un film sui fantasmi, ma un film filosofico sulla solitudine.

      La stanza proibita è la metafora della ricerca del significato della morte al di là della vita, la curiosità dei viventi di sapere cosa c'è dopo.Quindi la costruiscono tutti gli esseri umani, che si imbattono inevitabilmente nei fantasmi.

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  2. Molto interessante, è senza dubbio l'aspetto più "originale" del film horror (anche se potremmo dire horror filosofico).
    Avevo già visto, senza inoltrarmi troppo nella lettura (così da non svelare alcun esito) una tua critica positiva su "Cure" dello stesso regista. Dopo questo film, credo ormai di poter andare sul sicuro :)
    grazie mille

    p.s.: aspettati altri commenti, questo blog pullula di cose interessanti ;)

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