lunedì 31 ottobre 2011

Castaway On The Moon



Castaway On The Moon 
Corea Del Sud, 2009. Di Lee Hae-jun. Con Hong Min-heui, Jang So-yeon, Jeong Jae-yeong, Jeong Ryeo-won, Koo Gyo-hwan, Lee Sang-hoon, Min Kyeong-jin, Park Yeong-seo, Yang Mi-kyeong. Genere: Commedia. Durata: 118'. 

La vita non potrebbe andar peggio per Kim, uomo d'affari che riscontra un grande debito e che è stato lasciato dalla fidanzata. Per questa catena di cose spiacevoli, Kim decide di gettarsi dal ponte di Seoul. Tuttavia non muore, anzi, raggiunge un'isola deserta proprio sotto il ponte. Lì, anche per l'incapacità di nuotare, deciderà di vivere, dimenticando quella società che lo ha abbandonato. Ma Kim non è solo: una ragazza hikikomori, lo osserva dalla sua stanza, credendolo un alieno. Tra i due, presto, nascerà un rapporto tra scritte sulla sabbia e bottiglie e, presto, lui vorrà conoscere lei, fragile per la mancanza d'autostima e paurosa del mondo circostante...


Il vincitore, meritatissimo, del FEFF di due anni fa.
"Castaway On The Moon" è uno di quei film che giungono serenamente, senza pretese e, poi, ti sconvolgono perchè non sono come te li aspetti. E' una commedia che gronda di originalità, freschezza, dinamismo, distanziandosi completamente dalla tendenza cagosa di molte commedie sentimentali coreane.

In "Castaway On The Moon" vi è il rapporto tra uomo e donna, ma non tocca mai il banalismo facilmente raggiungibile, preferendo un'indagine che si instaura divinamente tra la tenerezza e il weird, fino a giungere all'incontro finale tra i due, rappresentato con un unico gesto di contatto. 

"Castaway" è la commedia perfetta, terribilmente gondryiana, eppure personalissima: bizzarra, originale, con risate assicurate (indimenticabile la scena dell'accensione del fuoco), ma anche con temi importanti (la solitudine, l'importanza della vita, la speranza, l'amore).

Ma non solo: "Castaway" eccelle anche nella tecnica: la regia è perfetta, sinuosa e coinvolgente, ed è sorprendente il fatto che il regista sia solo alla sua seconda prova (il suo debutto era un'altra commedia, "Like A Virgin", che non ho ancora visto, ma che presto vedrò), accompagnandosi ad una fotografia saturata, ma non esagerata e mai barocca, che sconvolge.

"Castaway" è l'anti-My Sassy Girl (che, comunque, era bellissimo) per eccellenza, destinato a rapire i vostri cuori. Per me, una delle migliori commedie (non solo coreane) che abbia visto in una vita. 

"Vorrei vivere sulla luna. Perchè sulla luna non c'è nessuno, e dove non c'è nessuno, non puoi soffrire di solitudine." 

IL MIO VOTO: 9.5
















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Io Sono Li



Io Sono Li
Italia, 2011. Di Andrea Segre. Con Zhao Tao, Rade Serbedzija, Marco Paolini, Roberto Citran, Giuseppe Battiston. Genere: Drammatico. Durata: 104' 


Film bellissimo, e ovviamente quando esce un film italiano del genere, non se lo caga nessuno, istigando ipocritamente il fatto che il cinema nostrano sia ormai un immondezaio.
Non un capolavoro, sia chiaro: si vede uno stile acerbo che deve ancora evolversi, però il regista ha un controllo invidiabile per l'immagine e ha un montaggio curatissimo che evita completamente i tempi morti. Per un film italiano è già tanto, ma non finisce qui.

è un film carico di simbolismo e poesia, con una sceneggiatura scritta benissimo, interpreti notevoli, un finale devastante che ti stupra l'anima. Oltretutto non è il solito film d'autore-lagna (che a me pure piacciono), ma viaggia abilmente tra commedia e dramma quotidiano senza sgarrare.

Zhao Tao, musa del grandissimo Jia Zhang-Ke, è splendida nel suo essere continuamente spaesata in un luogo sconosciuto e potrebbe anche reggere tutto il film da sola, disincantata, sognatrice, sembra una donna alla lars von trier, che ha una vita di merda ma tira dritto come può, scavandosi nell'anima.

Un film girato da un occidentale con la mente dell'orientale, conscio della potenza del cinema sussurrato e in apnea, in grado di fotografare, in una delle scene più efficaci dell'opera, le strade e i negozi invasi dall'acqua veneziana, una storia calda affranta nel grigio dell'inverno e dell'ignoranza e una poesia che sconfigge la morte, senza mai spegnersi.



IL MIO VOTO: 9.0












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Thirst



Thirst
Corea Del Sud, 2009. Di Park Chan-Wook. Con Song Kang-ho, Kim Ok-bin, Ha-Kyun Shin, Eriq Ebouaney. Genere: Drammatico/Horror. Durata: 140'

Padre Sang-Hyun decide di sottoporsi ad un esperimento per combattere un virus potente. E' l'unico sopravvissuto tra i volontari, ma qualcosa nel suo corpo va storto: è diventato un vampiro! Grazie al fatto di essere l'unico sopravvissuto, egli diverrà una specie di santo ai quali molti fedeli si rivolgono per pregare per i loro cari ammalati. E' in questo frangente che Sang-Hyun incontra Kang-Woo, un suo ex amico di infanzia, ora ammalato di cancro e sposato con la bellissima (e atea) Tae-Ju. Sang-Hyu rinuncerà alla fede pur di intrattenere una relazione con la provocante ragazza, alla quale racconterà il suo oscuro segreto. 


THIRST: SETE DI CINEMA.

Park Chan-Wook, il dio di Old Boy, torna dietro la macchina da presa per realizzare un fascinoso melò horror vampirico, che si distanzia (e di molto) da certi orribili cugini del genere (l'inguardabile Twilight che fa da orpello), proponendo finalmente una storia vampiresca che merita: "Thirst" è un film crudo e poetico e raccconta l'eros in toni sanguinari, erotici e perversi, finendo per spiazzare.

La regia funambolica del solito Park elettrizzato racchiude una storia, che in mano ad altri sarebbe stata base di un film orrendo (insomma...prete vampirico che rinuncia alla fede per trombare e per succhiare un po' di sangue), ma che qui diventa un gioiello di mille sensazioni.

E "Thirst" diventa incredibile soprattutto quando diventa teatrale (nella lunghissima scena di morte in un corridoio bianco), surreale (i viramenti à la ghost story) e autoriale (gli ultimi dieci minuti: silenziosissimi e appena palpabili), dimostrando tutto il genio poliedrico di Park, ormai definitivamente un maestro del genere.

Purtroppo ci sono anche i difetti: Park Chan-Wook si perde un po' in una sceneggiatura a tratti sconclusionata e impazzita. Inoltre il magnifico regista coreano sembra, talvolta, perso nei propri formalismi, alla ricerca dell'effetto facile e dell'immagine che ti lascia a bocca aperta.
Quest'ultimo, però, lo si può considerare anche un pregio: il film è talmente bello visivamente da essere una gioia per gli occhi.

Incredibile interpretazione di una splendida Kim Ok-Bin, una femme fatale come da tempo non se ne vedono.

Il finale silenzioso e di rara bellezza romantica conclue un film da vedere, per nulla un blockbuster come in moldi dicono (ma perchè?), ma un penetrane canto filmico e seducente da subire con eleganza.

IL MIO VOTO: 8.5







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Naissance Et Maternité



Naissance Et Maternité
Giappone, 2006. Di Naomi Kawase. Con Naomi Kawase, Uno Kawase, Mitsuki Kawase. Genere: Documentario. Durata: 38'.

Breve film della Kawase, che continua a raccontare la sua vita ad ogni film. In questo "Naissance", la regista affronta il duro colpo della morte della nonna che l'ha cresciuta in tenera età, in corrispondenza con la nascita e l'infanzia di suo figlio

Naomi Kawase continua a sfruttare l'arte del cinema come se fosse il suo stesso destino, fotografando ogni film some se fosse una diapositiva, un frammento della sua vita. Naomi in ogni suo film parla di sè, quasi come se il cinema fosse il suo stesso cuore e, anche nelle sue opere con una trama che si discosta dalla realtà per addentrarsi nell'invenzione (Mourning Forest, Nanayo, Shara) emerge l'anima di una regista che pare ispirarsi a caposaldi come Ozu o Hou Hsiao Hsien, ma sempre in grado di offrire una sua panoramica nella settima arte.

LA DONNA. L'OCCHIO. IL CINEMA.

Fulcro di questo film è senza dubbio l'amore verso la nonna (prozia) della regista, un punto di riferimento per una donna che ha sempre sofferto la mancanza di genitori e di una famiglia, tant'è che il film inizia proprio con uno scontro tra generazioni.
Parole dimenticate che feriscono e vengono riportate a galla solo dopo decadi di assoluto silenzio.

La Kawase filma tutto. Anche ciò che non dovrebbe (un parto materno ben in vista), ma non affonda mai nel vertice del disgusto riuscendo a creare un'opera estremamente coinvolgente, in grado di creare un abbraccio attorno allo spettatore.

Per ora è il suo miglior film che vedo, diretto, spettrale e così tremendamente intimo e realistico da pervadere il cuore.
Così come tutto il cinema di Naomi, anche qui più che star di fronte ad uno schermo, ad una barriera si ha la netta sensazione di conoscere quella gente in scena, di stare con loro.

Per loro si prova affetto. Uno strano affetto, perchè il cinema di Naomi è "casalingo", riprende la vita quotidiana e ne fa arte, incutendo malessere, timidezza, romanticismo, inquietudine, dolcezza, disperazione, amore, tutto insieme.

E il risultato è eccezionale.



IL MIO VOTO: 9.5











Syndromes And A Century



Syndromes And A Century
Thailandia, 2006. Di Apichatpong Weerasethakul. Con Arkanae Cherkam, Jaruchai Iamaram, Sakda Kaewbuadee, Sin Kaewpakpin, Nu Nimsomboon, Jenjira Pongpas, Sophon Pukanok, Nantarat Sawaddikul. Genere: Drammatico. Durata: 105'

In un ospedale thailandese, la dottoressa single Toey sta facendo un colloquio con un dottore che vorrebbe entrare a far parte dell'ospedale. Nel frattempo Toa cerca di conquistare il cuore di Toey...


Un incantesimo sui sensi. Non c'è altro modo di definire questo bellissimo pezzo d'arte, dove l'unico difetto risiede nella solita sceneggiatura, non sempre riuscita al regista, ma poco importa. 

Il regista thailandese, dopo il misterioso "Tropical Malady" e il delizioso "Blissfully Yours" dirige questo splendido, struggente dramma ospedaliero diretto divinamente e con un'attenzione sospesa per tutti gli ambienti circoscritti. Cinema così sconvolgente nella sua vuotezza, ma che trova nella vacuità il suo punto di forza lo trovi solamente con gente come Tsai Ming Liang.
Cinema vero che interpreta la vita vera.

La contrapposizione di due verità: quella ascettica e quella familiare.
In questo clima di sospensioni, di corridoi con luci intermittenti e soffocanti, luoghi tecnologicamente avanzati in contrapposizione con la natore che avvolge l'ospedale in modo immagnifico e suadente.

Mai visto una tal perspicacia nel fare cinema notevole con il nulla, con una non-storia che scorre lentamente in mezzo ad un mondo urbano e selvaggio.

Questo è cinema!
Una lezione notevole, impressionante e invidiabile della settima arte, dove gli ultimi 45 minuti sconvolgono l'anima per la loro forza e la loro bellezza apocalittica. Il bacio di fronte alla finestra è una scena magnifica. Finalmente amore vero e non recitazione. 

Il sopravvalutato Spielberg dovrebbe vederlo.

IL MIO VOTO: 9.0











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domenica 30 ottobre 2011

L'Arte Del Sogno


L'Arte Del Sogno
Francia, 2006. Di Michel Gondry. Con Charlotte Gainsbourg, Gael Garcìa Bernal, Miou-Miou, Eric Mariotto, Emma De Caunes, Aurélia Petit, Alain Chabat, Pierre Vanek, Sacha Bourdo, Stéphane Metzger, Inigo Lezzi, Jean-Michel Bernard. Genere: Commedia/Drammatico. Durata: 96'

Film semplice e complesso insieme, "L'Arte Del Sogno" è la summa più alta raggiunta dal talentuoso e visionario Michel Gondry, regista di film e video clip che si autoreputa "eterno dodicenne", che qui osa il doppio di quanto aveva fatto nel comunque bello "Eternal Sunshine Of The Spotless Mind". "L'Arte Del Sogno" non è poesia autocompiaciuta, ma un continuo  approccio artistico puramente spontaneo e naif, fatto di bellezze devastanti e piccoli acquerelli visivi che scavano nell'anima.

Un continuo emergere tra sogno e realtà, rendendo flebile l'equilibrio tra due sponde inconciliabili, impersonato da un meraviglioso e disincantato Gael Garcìa Bernal, in pura empatia con una sempre magnifica Charlotte Gainsbourg, dotata di un fascino e un talento inimitabili che la rendono una delle migliori attrici contemporanee in assoluto. 

Una storia apparentemente banale e facilmente riscontrabile nella vita di tutti i giorni, ma che immersa in questo clima bambinesco, ludico e struggente che Gondry riesce a dipingere, riesce a restare impresso, invogliando sempre a più revisioni. Un film per nulla prevedibile, che snatura l'amore hollywoodiano per renderlo un bozzetto spontaneo tra quelli che sono due bambini nel corpo di due adulti.

è l'eterno sogno d'arte, amore, musica, cinema: la purezza di un quadro chiamato vita. Il capolavoro, sottovalutatissimo purtroppo, di un autore che, probabilmente non raggiungerà più queste vette, visti i successivi due film: un comunque bello, ma meno ispirato "Be Kind Rewind" e il rovinoso scivolone commerciale "The Green Hornet". Bisogna solo lasciarsi sopraffarre da questa piccola opera d'arte, come dalle emozioni in un sogno infinito. 

IL MIO VOTO: 10.0













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