martedì 28 febbraio 2012

The Boxer's Omen



The Boxer's Omen
Hong Kong, 1983. Di Kuei Chih-Hung. Con Bolo Yeung Sze, Cheung Chok-Chow, Elvis Tsui Kam-Kong, Johnny Wang Lung-Wei, Lai Yau-Hing. Genere: Grottesco. Durata: 104'


Delirio metafisico/filosofico/violento disorganizzatissimo e, per questo, estremamente appagante e ipnotico. Cromaticamente e visivamente allucinante quanto l'LSD o forse anche di più, ma non ha effetti negativi sulla salute, se non la terribile sensazione che il cervello sia colato a fine visione, attraversando lo stato gassoso.Un cocktail cattivissimo possibile solo ad Hong Kong: umorismo, disperazione, vendetta, erotismo randagio, impulso, creatività visiva, ragni, pipistrelli e, soprattutto, la capacità di osare e non porsi mai dei limiti. 


è proprio un film animalesco, fatto di carne, muscoli, ossa e tantissimo sangue. é capace di rendere lenta e avvolgente la scena di una donna che si sfila i collant e poi ti distrugge con quello che succede dopo. Adoro queste impennate e rallentamenti di ritmo assurdi.


Finale più che straordinario, bellissimo, un colpo di genio d'autore puro.


IL MIO VOTO: 9.0







sabato 18 febbraio 2012

Rainbow Boys: Right By Me



Right By Me
Thailandia, 2005. Di Thanyatom Siwanukrow. Con Jackie, Palat Ananwattanasiri, Pimpong Isarasena na Ayudhya, Wijitra Wijwonnagorn, Alex Sanchez. Genere: Commedia/Drammatico. Durata: 101' 


Ispirato ai romanzi di Alex Sanchez. Nat, simpatico ed effemminato e Tat, più introverso, sono grandi amici d'infanzia, sono gay e frequentano la stessa università. Quando arriva Ek, un bel ragazzo fidanzato con una splendida ragazza, Tat se ne innamora perdutamente e inizia a fargli da tutor. Ek, intanto, comincia sempre di più a dubitare della sua sessualità e perde interesse per la fidanzata. I tre ragazzi entreranno in un triangolo amoroso dagli esiti imprevedibili. 


Dalla trama, può sembrare sia un classico queer coming of age asiatico, delicato e per nulla banale (il capolavoro "Like Grains Of Sand" docet) o, al contrario, una commedia irriverente degli equivoci. E invece, nessuna delle due cose. Un bene? Per niente. Nonostante io dica che i migliori film sulle relazioni omosessuali, gay o lesbo che siano, (salvo eccezioni come "Shortbus", "Mysterious Skin" e altri) siano asiatici, perchè totalmente esenti dai clichè tipici del mondo gay, "Right By Me" (conosciuto anche come "Rainbow Boys") ci galleggia dentro come un pesce che se, tirato fuori dalla boccia, inizia ad annaspare, tra checche isteriche e giocatori di basket del tipo "Sono figo solo io".

Una sceneggiatura prevedibile per un film oltretutto girato e interpretato malissimo, con ossessivi e imbarazzanti fade to black, con una fotografia pressocchè assente, interni montati in due secondi e un montaggio che è andato a farsi marcire. 

E alla fine cosa resta? Cos'altro se non la solita retorica dell'accettiamoci tutti e vogliamoce bene? Poteva uscirne un ottimo lavoro, ma resta non un passo falso, quanto un eterno capitombolo giù da una rupe. 

Tirato via, noiosissimo, interminabile senza un minimo di pathos, "Right By Me" è un film completamente da dimenticare con una regia da scuola media e mi sorprende il fatto che sia stato un successo internazionale e che rientri nella classifica dei migliori coming-of-age asiatici. Quasi deprimente. 

IL MIO VOTO: 2.0








The Client

The Client
Corea Del Sud, 2011. Di Sohn Young-sung. Con Ha Jung-woo, Park Hee-soon, Jang Hyuk, Song Dong-il, Jeong Won-jung, Kim Seong-ryeong, Park Hyuk-kwon, Yoo Da-in. Genere: Thriller. Durata: 123' 

Seo è morta e, nonostante la completa assenza di prove, viene accusato del delitto il taciturno e freddo marito Han Cheol-Min, per semplice mancanza d'alibi e per l'aver scoperto la relazione adulterina della donna. Al processo, lo appoggia l'avvocato Kang, disposto a tutto pur di difenderlo, contro il pubblico ministero Ahn Min-Ho che, invece, vorrebbe condannarlo. 

Film commercialotto onesto e abbastanza prevedibile, che evita di osare troppo, in favore di uno schema (ripreso dai colleghi americani) abbastanza predefinito, tanto da non generare assolutamente spoiler, ma comunque coinvolgente (presunto assassino, avvocato sfigato che cerca di aiutarlo, vincita della causa). Il film non brilla di momenti esaltanti, di scene madri o trovate inventive (a parte la geniale trovata dell'assenza delle impronte digitali o di prove schiaccianti), ma si lascia guardare con molta spensieratezza, conscio della sua essenza. Regge l'opera Ha Jung-Woo, qui un attore eccellente e carismatico, che porta alla pellicola quel colore che, probabilmente, non avrebbe raggiunto in mano ad altri.

Finale prevedibile dalla prima inquadratura, ma non importa, è abbastanza efficace.

Regia al servizio, decisamente più da professionista alle prime armi che d'autore ma, come sempre accade nel cinema coreano, la confezione è curatissima in ogni suo comparto tecnico (montaggio, regia, fotografia) e ha un buon ritmo, nonostante l'assenza di grandi risvolti narrativi.

Insomma, il classico thrillerino che si può vedere nei momenti di qualcosa di più leggero, basato su una tensione creata dall'elevatissimo numero di dialoghi che lottano per salvare una persona dalla colpevolezza ambigua. 

IL MIO VOTO: 6.0











Control


Control
Gran Bretagna, 2007. Di Anton Corbijn. Con Sam Riley, Samantha Norton, Craig Parkinson, Joe Anderson, Alexandra Maria Lara, Harry Treadaway, Toby Kebbel, Tim Plester. Genere: Biografico/Drammatico. Durata: 126' 


Delusione agghiacciante. Prendere un uomo fuori dal mondo come Ian Curtis e imbellettarlo di emozioni e storie d'amore senza nesso logico è veramente assurdo, come donare umanità ad un uomo che era bello anche per la sua assenza di umanità. Si parla poco della musica devastante che un gruppo oltrenatura come i Joy Division hanno saputo creare, soffermandosi più, con una certa superficialità, tra l'altro, sulle vicende sentimentali e non di Ian, mostrato mentre piange più volte, per descrivere la sua disperazione e la sua malattia: un espediente abbastanza facile per rappresentarne il dramma.

Il bianco e nero per descrivere la sua vita è bellissima come idea, ma rendetelo grezzo e cupo, non da fotografia di spot di Calvin Klein, con tutte quelle inquadrature ricercate da studente accademico che danno al film un pathos quasi televisivo. Sul finale si risolleva abbastanza, ma la chiusura del film lascia l'amaro in bocca. Concordo con chi ha detto che sulla sua vita poteva farci un film perfetto solo chi adopera l'astrazione (Tsai Ming-Liang, Derek Jarman), perchè questa sembra solo una rappresentazione didascalica di una vita, da compitino delle medie, fatto per fatto.

Eccellenti le interpretazioni del cast, ma da un film su una delle più grandi icone del rock ci si aspettava molto di più. Un flop.



IL MIO VOTO: 5.0














mercoledì 15 febbraio 2012

Polyester


Polyester
USA, 1981. Di John Waters. Con Divine, Tab Hunter, Edith Massey, Mink Stole, Hans Kramm, Stiv Bators, David Samson, Mary Garlington, Ken King, Derek Neal, Jim Hill, Joni Ruth White, Michael Watson. Genere: Grottesco. Durata: 87' 

L'incontrollata irriverenza del grande John Waters resta anche in questa pellicola più controllata, ma non meno sadica e sconfortante verso i suoi personaggi. è innegabile il talento grottesco dell'autore di mettere in scena una vera e propria tragedia greca (perchè di questo si tratta) e di raccontarla con una strafottenza e una voglia cinica e perversa di umorismo che ne smorzano i toni. Perchè una storia del genere (casalinga brutta e paffuta subisce il tradimento del marito e si vendica trovandosi un amante che la usa, con due figli che sono il primo un feticista dei piedi che agisce con violenza contro gli arti inferiori delle donne e la seconda una ragazza di facili costumi che spera nell'aborto), in mano ad un regista neorealista sarebbe stato un mattone dritto sugli zebedei, una caterva di sfi.ghe umane come non se ne sono mai viste prima e che toccherebbero vertici di disperazione come non mai.

John Waters sradica ogni patetismo e mette in scena un carnevale orribile, dove infarcisce denuncia, cinismo e irriverenza in ogni inquadratura, puntando il dito contro tutto e tutti: dal bigottismo, alla borghesia, fino ai malati e ai vogliosi di potere. Il finale è amaro e inverosimile, ma va bene così, portandoci ad un happy ending ambiguo, dove tutto "profuma molto meglio". Perchè l'odore qui non è solo una tecnica pubblicitaria (il film fu proiettato nelle sale con un cartoncino che permetteva agli spettatori di di sentire gli stessi profumi che percepivano i personaggi nella pellicola), ma un vero e proprio leitmotiv della narrazione: è un continuo scavare nella merda e nella disillusione della vita, per poi risorgere e andare verso l'adorata perfezione. Ma è davvero perfezione quando hai due cadaveri nel cortiletto?

Resta la risposta lì nell'aria, tra una recitazione calcatissima e oltre il teatrale e un'esagerazione visiva che sfocia nel kitsch. "Polyester" è una delle più grandi e struggenti tragedie mai raccontate, ma è paradossalmente anche la più divertente, capitanata da una straordinaria Divine, attrice transessuale, imperdibile in ogni sua performance e qui ancora più se stessa e adorabile.

Sicuramente un film da vedere, orgoglioso della sua bruttezza e delle sue imperfezioni. Si ride e si piange addosso, illudendo lo spettatore che è così che vanno le cose, mentre gli getta contro tutto lo schifo di questo triste mondo. Il cinema di John Waters è l'assolutezza della carne, che sotto la faciloneria di questo teatro del cattivo gusto nasconde riflessioni ben più terribili.

IL MIO VOTO: 8.0






Fucking Amal - Show Me Love



Fucking Amal - Show Me Love 
Svezia, 1998. Di Lukas Moodysson. Con  Alexandra Dahlstorm, Rebecka Liljeberg, Erika Carlsson, Mathias Rust. Genere: Drammatico/Commedia. Durata: 87'


Alienazione giovanile, disagio, confusione e riscoperta sessuale. Temi comuni già raccontati diverse volte, ma che qua vengono trattati con una mano più fresca, abile, sofferta e naif. è un film che vive in un rozzume registico che ben si addice alla desolazione della cittadina che descrive, soffocata com'è negli stereotipi e nel perbenismo familiare. Il racconto di un amore saffico che riesce a sradicare le trappole in cui film del genere rischiano così troppo spesso di cadere: "Fucking Amal" è livido, sincero, crudo e sensibile nella metodologia del racconto, che cala un po' in un finale piuttosto sbrigativo e poco efficace, ma che non danneggia una pellicola in grado di raccontare così bene lo smarrimento adolescenziale, evitando sempre i luoghi comuni o trattandoli, distruggendoli, parodiandoli.

è un film sicuramente da recuperare: poetico, scarno e dolente, ma anche rabbioso, grunge, viscerale. Più profondo di quanto ci si possa aspettare.
Il sottotitolo viene da una canzone della famosa popstar svedese Robyn, che scrive la colonna sonora, ma è piuttosto disastroso, soprattutto vista l'anarchia e l'anticonformismo che sprigiona il titolo principale: un messaggio semplice, ma forte, capace di raccontare tanto. Da vedere.



IL MIO VOTO: 8.0 





sabato 11 febbraio 2012

Babel



Babel
Messico/USA/Giappone, 2006. Di Alejandro Gonzales Inarritu. Con Brad Pitt, Rinko Kikuchi, Koji Yakusho, Gael Garcìa Bernal, Cate Blanchett, Adriana Barraza, Elle Fanning. Genere: Drammatico. Durata: 135'


Un incantevole e crudele dramma che lega tre nazioni lontane nel mondo, un dramma che prende piede da un atto infantile di due ragazzini che vorrebbero diventare adulti. Ma il film parla proprio di questo: la ragazza giapponese che soffre del suo handicap e vede attorno sé la scoperta della sessualità dei suoi coetanei che vorrebbe provare, l'enfant terrible messicano che fa il duro, ma poi abbandona i suoi cari per scappare e i turisti americani che pensano prima a se stessi che a chi soffre davvero. è un film duro, ma anche vero, reale, sanguigno, che riesce a ridestare un minimo di speranza in un finale bellissimo e sofferto.

Ha degli attori straordinari (Rinko Kikuchi, Koji Yakusho, Gael Garcia Bernal, Adriana Barraza) e un pathos emotivo invidiabile, che trova il suo apice nella storia giapponese, sicuramente la più sofferta e bella: la bella e giovane Chieko viene ritratta nella sua disperata e triste scoperta della vita. Dura, fredda e disturbata, apre le gambe mostrando il suo segreto al mondo esterno, con estrema disinvoltura, ma con l'idea di raggiungere un vero rapporto umano. Quando si lascia sorprendere totalmente nuda dal padre, si raggiunge un apice di poesia estrema. 

Un film che unisce e divide il mondo e i suoi esseri umani, tutti verso l'autodistruzione e la redenzione. Livido, a tratti isterico, altre volte silenziosissimo, con dei momenti registici straordinari (la scena nella discoteca di tokyo, con l'audio forte della musica che, a scatti, sparisce, costringendoci alla sordità di Chieko). 

Come un proiettile alla tempia, "Babel" resta dentro.



IL MIO VOTO: 9.0










venerdì 10 febbraio 2012

Blind



Blind
Corea Del Sud, 2011. Di Ahn Sang-Hoon. Con Kim Ha-Neul, Yoo Seung-ho, Jo Hee-bong, Yang Yeong-jo, Kim Mi-kyeong, Park Choong-seon. Genere: Thriller. Durata: 110'

Un'allieva agente delle forze, Min Soo-Ah, perde la vista in seguito ad un incidente stradale che è costato la vita al fratellastro. Non ha ancora superato il trauma, ma cerca di andare avanti, finchè un giorno uno psicopatico non cerca di adescarla. Lei riesce a salvarsi e lo denuncia ma, a causa della sua cecità, non riesce a tracciare un identikit del criminale, a cui sono associati anche diversi delitti insoluti di donne. Insieme ad un detective e un ragazzino presente sulla scena del crimine, Soo-Ah, è in cerca della verità...


Dopo l'ottimo horror "Arang", in grado di formare un perfetto equilibrio tra terrore e indagine poliziesca, era lecito aspettarsi da Ahn Sang-Hoon un gradito ritorno al cinema di genere, questa volta il thriller puro e crudo, atteso da molti e incensato anche da ottime reazioni di pubblico (con anche un premio alla sempre bravissima Kim Ha-Neul, ormai diva del cinema coreano mainstream ma molto versatile e in grado di interpretare personaggi di qualsiasi genere, come migliore attrice protagonista).

"Blind", però, è essenzialmente un thriller senza nessuna pretesa. Di quelli che già si sono visti milioni di volte, con un paio di indovinatissime e, persino, agghiaccianti scene di tensione (la sostenutissima scena della metro, tutta la parte finale nell'orfanotrofio), che sfociano spesso nel sangue, ma senza troppo esagerare, ma anche una narrazione molto lineare, con il classico trauma della protagonista (la morte del fratello) e il classico psicopatico che affetta donne attraenti senza nessun motivo.

Ahn Sang-Hoon gira molto bene (escluso qualche orrendo ralenti e della computer graphica di cattivissimo gusto) e sa il fatto suo, riuscendo a realizzare un'opera d'altissimo intrattenimento che, per quasi due ore, riesce a tenere incollato lo spettatore alla poltrona. Non si chiede nulla di meglio a quello che è un onesto prodotto di genere, senza l'inventiva di creare qualcosa di nuovo o cambiare le carte in tavola.

Decisamente inferiore all'esordio "Arang", che pur essendo film di genere riusciva ad elevarsi a buon titolo grazie alla commistione di generi e prototipi e un'ottima sceneggiatura, ma non disprezzabile, "Blind" è un film che contenutisticamente non lascia molto, data la sua palese intenzione di scatenare emozioni, più che voler raccontare una storia, ma che come intrattenimento leggero funziona egregiamente. Abbastanza deludente, però, è il finale, prevedibile dalla prima inquadratura.



IL MIO VOTO: 6.5