Identitas
Indonesia, 2009. Di Aria Kusumadewa. Con Tio Pakusodewo, Leony Vitria Hartanti, Ray Sahetap, Titi Handayani Sjuman, Otig Pakis,Teguh Esha. Genere: Drammatico/Commedia/Grottesco. Durata: 86'.
Adam lavora in un ospedale dagli scarsi mezzi, di un'Indonesia segnata dal caos e dalla disperazione: i malati si trovano in condizioni pessime e i decessi si moltiplicano vorticosamente. Ed è infatti di questo che si occupa Adam, addetto all'obitorio: pulisce i cadaveri e ne consegna i talloncini legati ai piedi dei morti. Un giorno incontrerà una giovane bellissima, che disperata per le condizioni del padre (non curabile in ospedale, perchè privo di identita in quanto il suo nome è stato cancellato dagli archivi dell'anagrafe), si prostituisce per pagargli le medicine...
In un panorama cinematografico difficle come quello Indonesiano, povero di mezzi, profilico quanto ripetitivo nelle idee (basti pensare agli innumerevoli teen-horror a basso costo o alle commedie demenziali), non è comunque troppo difficile trovare quei film degni di essere chiamati tali. Dopo la bella sorpresa horror "Macabre", il Far East me ne ha presentati altri due: il sopravvalutato, ma apprezzabile "The Dreamer" di un simpaticissimo Riri Riza presente in sala, e questo "Identity".
Mentre il primo è un film apprezzabile per una storia leggera e scorrevole, e per la potenza delle immagini, "Identity" si rivela una spiazzante rivelazione.
Controverso e affascinante, "Identity" è il ritratto sconvolgente di un'Indonesia in completa decadenza, immemore di umanità e permeata da egoismo e follia.
Caos, morte e distruzione.
"Identity" è un film indefinibile, che sottolinea l'incessante denuncia sul paese, mettendo in ridicolo, con humor sarcastico, temi delicati come morte e dolore (il bambino a cui viene amputato un piede pur soffrendo di appendicite, il padre agonizzante e il suo vicino di letto che si lamenta dei suoi odori), con tocchi di voluta volgarità (il continuo ricorrere allo scoreggiare), per sottolineare quanto sia volgare e disadattato il malessere di queste anime sole, a cui viene negata persino l'identità.
E poi c'è lei, vittima vera e propria di questo caos aberrante ("Ho più paura dei vivi che dei morti"), entrata nel mondo di Adam, che non considera come amico o probabile anima gemella, ma come cliente e, quindi, una speranza per una somma i denaro (si mostra nuda, silenziosa, ad un Adam attonito).
Il clima straniante di questo caos egoista è impreziosito da una regia traballante e malsana e da una fotografia lugubre. La recitazione, protagonista maschile discreto escluso, invece, non è soddisfacente in un film che, comunque, dimostra un coraggio inverosimile e straordinario per un regista per ora sconosciuto e promettente, che confeziona un film bellissimo, non esente da pecche.
Pecche come scivoloni e intuizioni indovinate, ma fini a se stesse (un lunghissimo pianosequenza), comunque perdonabili per un film che, bene o male, si è rivelata un'ottima sorpresa che si impara ad amare solo dopo un po' di tempo dalla visione.
Straordinaria, poi, la scena in cui Adam mette il rossetto al cadavere di Hawa: una poesia destabilizzante che colpisce. Finale spiazzante.
IL MIO VOTO: 8.5
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