mercoledì 21 dicembre 2011

Graveyard Of Honor (2002)



Graveyard Of Honor
Giappone, 2002. Di Takashi Miike. Con Arimori Narimi, Daichi Yoshiyuki, Honda Hirotaro, Inoue Harumi, Ishibashi Renji, Kishitani Goro, Miike Takashi, Miki Ryôsuke, Motomiya Yasukaze. Genere: Drammatico. Durata: 132'. 

Rikuo è un burbero cameriere che si ritrova a salvare il boss del clan Sawada da un pericoloso killer introdottosi nel suo ristorante cinese. Proprio grazie a questo suo gesto "eroico", Rikuo entra a far parte del clan Sawada, ma il suo atteggiamento burbero e poco rassicurante lo porterà ad una cerchia di disavventure, sino al tragico e malinconico finale. 

Meravigliosa e lirica litania sull'autodistruzione, cammuffata da film sulla yakuza. Miike scardina un po' le convenzioni del genere senza mai troppo addentrarsi nel suo solito, disarmante estremismo, ma riesce comunque a colpire grazie a geniali trovate e ad esplosioni di violenza sempre ai confini del realismo. Siamo lontani dai fasti completamente grotteschi e surreali di un capolavoro dell'estremo come "Gozu", ma "Graveyard Of Honor" si stabilisce come un film degno di nota, d'alto valore, in grado di colpire.

Nonostante sia un remake (dell'omonimo, celebre film del geniale Kinji Fukasaku, datato 1976), Miike affascina grazie ad una regia mai così ispirata e ad un degno studio dell'immagine che barcolla tra pianosequenza illuminanti e scene con macchina a mano.
"Graveyard Of Honor" è uno di quei rari e felici casi in cui l'opera è talmente girata bene e con coinvolgimento da lasciarci entrare all'interno dell'anima dei personaggi... che non vuol dire "personificazione dell'attore", ma proprio "entrare nei panni di chi vive una cruda vicenda, provandone il dolore e la ricerca di una felicità effimera attraverso la droga". A questo, oltre che la regia di Miike e la sua maestria dietro la camera, hanno senza dubbio contribuito le straordinarie performance degli attori; In particolare parlo di Goro Kishitani, nei panni di Rikuo: freddo, ma anche disperato al punto giusto. Ma parlo anche della straordinaria Narimi Arimori, la moglie sommessa, timida e silenziosa di Rikuo, sull'orlo del collasso nervoso e alla ricerca della beata calma. Il viaggio dei due coniugi ha come destinazione la felicità, ma sono destinati ad un triste, doloroso oblìo diventato sin troppo grande per entrambi.

Poetico, vitale, crudo carillon sulla disperazione.

Meraviglioso l'immenso finale, che come in ogni film di Miike, chiude al meglio una girandola fatta di anime perdute in un mondo impazzito ed epilettico.

IL MIO VOTO: 9.5








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