mercoledì 30 maggio 2012

Birthday

Birthday
Giappone, 1993. Di Hisayasu Sato. Con Yumika Hayashi, Kiyomi Ito, Yuri Ishihara, Kouichi Imazumi. Genere: Drammatico/Romantico/Grottesco. Durata: 60'



L'abbandono del suo più grande amore spinge una ragazza ad una scelta estrema: suicidarsi allo scoccare del ventesimo compleanno, facendosi saltare in aria con la dinamite.
Un ragazzo, abbandonato dall'intera famiglia - dilaniata da ossessioni, perversioni e problemi di ogni sorta- inizia a guardare tutto ciò che gli sta intorno attraverso l'occhio della telecamera, affinché nulla sembri piatto e possa conservare una speranza.
L'incontro tra queste due anime sole porterà conseguenze inaspettate alle loro intenzioni: sarà l'amore?


Credeteci o meno: questo è il lavoro è una love story. Quest'opera è un film controllato.
Alt, fan di Hisayasu Sato, non temete! Il genio è riconoscibilissimo in ogni inquadratura, nel senso di disagio perenne che permea ogni singola inquadratura, in risvolti mai così ambigui e dissacranti e, soprattutto nei temi: dal metacinema al rapporto angosciante con il sesso ("Non voglio fare sesso con te: temo che tu possa diventare piatta, un poster").
E quindi, sì, miei cari diffidenti di Sato (che è un regista enorme, fin troppo sottovalutato, anche sui nostri lidi), questo è anche un film per voi: nessuna goccia di emoglobina, poco sesso, giusto qualche accenno alla perversione (indimenticabile l'uomo che cerca di raggiungere il paradiso obbligando i passeggeri di un treno a stringere un fallo di gomma), caricato di tutta l'ironia e la malattia che solo un autore come Sato riesce ad infilarci dentro.

Ma "Birthday", innanzitutto è una storia d'amore. Una storia d'amore tra due persone sole e disperate, ma contrapposte. Lei è vivace, speranzosa e felice di poter morire per raggiungere il suo ragazzo, da lei creduto morto, lui è introverso e perso nella sua sindrome di "depersonalizzazione". Due personaggi che incarnano perfettamente il cinema di Sato e, forse Sato stesso: lei è il corpo, lo strumento dell'attore, che può cambiare emozione rispetto alle azioni che interpreta (può essere felice dentro di sé, anche mentre piange per recitazione), lui è il cinema stesso, è Sato stesso: con quello sguardo assente, la telecamera sempre su di lei o sul mondo circostante. L'illusione che, attraverso il cinema, non possano esserci mostri o incubi.

Ma come ben saprete, il cinema di Sato è proprio un cinema invaso di incubi, di mostri, di carne, di squarci di solitudine e poesia celata. Un film che non è tra i suoi migliore, ma che tocca vertici di cinema assoluto: la scena del proiettore e quell'abbraccio, la distruzione dell'immagine video, del cinema, dell'arte. Mette i brividi. Rovista nell'intestino.

E questo senza l'iperviolenza, senza esplicitare il sesso violento.

Sì, forse questo è il Sato più "buono", ma è anche il più subdolo: a visione terminata, vi sentirete sporchi.

Perchè il dolore è puro sporco. E Sato, a sporcarvi, si diverte e basta.



IL MIO VOTO: 7.5




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