sabato 5 novembre 2011

Madre E Figlio


Madre E FIglio
Russia, 1997. Di Alexandr Sokurov. Con Gudrun Geyer, Alexei Ananishinov. Genere: Drammatico. Durata: 75' 


Un film che è un viaggio magnifico fatto di silenzi ed emozioni palpabile, il cammino di un lungo e lento spegnersi, di un tortuoso e apocalittico viaggio verso l'agghiacciante vuoto del mondo. è il mondo di Sokurov, che imprime su pellicola sensazioni difficilmente ripetibili, dotato di un invidiabile controllo filmico e capace di rendere una storia pressocchè irrilevante in un meraviglioso cammino di (anti-)formazione, dove la speranza rimane, ma viene distrutta da quel dialogo che tocca l'anima:

"C'è qualcuno lassù?"


"No, non c'è nessuno". 

Ancora una volta è cinema enorme costruito sul binomio presenza-assenza, sull'approcciarsi vicino di una catastrofe imminente e sulla profonda riflessione del senso della vita e della morte, che lo rendono uno dei film più belli degli anni '90, dove la bellezza dei paesaggi diventa progressivo luogo di minaccia, di riscoperta, di lutto. Dove lo scontro tra malattia e amore non ha esiti prevedibili, perchè è così che deve andare e così che dev'essere, e dove le inquadrature vengono deviate, distrutte, disilluse, come viste con un morbo oculare che scava dentro chi vede.

Obbligherei chiunque reputi Steven Spielberg il miglior regista di sempre a vederlo a riptizione. Quel finale, volutamente prevedibilissimo, strappa il cuore, come un quadro, come quei paesaggi.


Difficilmente commentabile, è un viaggio che resta indelebile. 



IL MIO VOTO: 9.5


Mi permetto di citare lo splendido commento dell'utente BadGuy, dal forum Asianworld:
"<Aspettami>. <Vai> dice lei, e l'immagine è rimasta fissa, due, tre minuti, sul corpo di una vecchia distesa su una panca. Io lì, inebetita, terzo incomodo, inchiodata insieme alla mdp ad aspettare in tempo reale che lui andasse a casa e tornasse... mica ci riescono in tanti a tenermi così. Ho cacciato il dito, anzi la mano intera, nella piaga aperta di uno sconosciuto, gli occhi su un'intimità vulnerabile, e con timore, quasi pudore. Sì, avevo vergogna. Eppure rovistavo. MADRE E FIGLIO di SOKUROV è di una bellezza da paura, brividi e pianto. Due attori, un pugno di frasi, sparuti rumori di vento e di foglie. Un ronzio di mosca, uno solo. Poi un paesaggio ingoiato, ruminato e restituito in forma di sogno... Ma come cavolo fa? Ho sempre creduto che lo squid - quello di "Strange days" dico - fosse solo fantascienza. Invece no, qui lo si sperimenta totalmente. E senza indossare aggeggi di sorta. "


Commento di Andreaolivieri da cinemaclandestino.it:
"Nella penombra sbiadita di un casolare isolato, s’intersecano i racconti dell´incubo di una madre morente con il sogno del figlio. Un figlio che accompagna la propria madre malata in un ultimo viaggio. Nella natura dov'è "persa" la casa di famiglia, nella campagna della primavera russa che accosta alle ultime folate del lungo inverno i primi rami dei meli in fiore. Poema elegiaco. Che sembra alitare dell'infinita dolcezza e tenerezza di quei gesti tra madre e figlio. Che sembra nutrirsi di una natura catturata, assorbita fino al più profondo dei suoi elementi vitali. In uno straordinario, mai disperato, tentativo di rigenerazione. La natura sembra avere un'anima irreale; il passaggio nel nulla ha la leggerezza del sonno. Lo straordinario di questo regista è di accingersi a guardare il mondo quando gli altri sembrano esitare. E soffermarsi, incurante di quelle leggi che il mondo dell'estetica o, peggio, dello spettacolo hanno creato, per decidere quanto sia lecito attendere la nascita della poesia. Quanto debba durare la descrizione di una sentimento. Il cinema di Tarkovskij ha certamente lasciato le sue tracce più preziose in quello di Sokurov; ma in questo dilatare il tempo, analizzare la materia, indagare l'indicibile sul filo della luce, dell'aria, dell'immateriale c'è tutto lo splendore di una dimensione filosofica che il mondo del cinema dovrebbe finalmente scoprire. Un film "insolitamente" vibrante; una pellicola straziante dove le immagini sono volutamente piatte come la superficie di un quadro: una scelta che affida la tridimensionalità non alla simulazione dello spazio ma alla profondità dei sentimenti."











Trailer:



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