martedì 20 marzo 2012

ATM- Trappola Mortale


ATM- Trappola Mortale
USA/Canada, 2012. Di David Brooks. Con Alice Eve, Josh Peck, Aaron Hughes, Brian Geraghtly, Glenn Thompson. Genere: Thriller. Durata: 81' 

Giuro che, letto il titolo, mi sono aspettato un horror italiano ambientato nella metro di Milano. Niente di più diverso, anche se l'idea del film in sé non era neanche malaccio: è la classica parata teen-horror (anche se i protagonisti viaggiano s'avvicinano ai trenta) all'americana, dove i personaggi sono praticamente inesistenti dal punto di vista psicologico e dialogano in modo insensato, illogico e con la solita ironia che spesso sfocia sul becero. Senza contare che c'è anche un imbarazzante accenno di interesse sentimentale che sfiora il ridicolo, ma fosse solo questo!

No. Non c'è tensione e il film, pur durando un'ora e venti, è un calvario di azioni viste e riviste, di stentate scene di suspense che non mettono un minimo di brivido o angoscia, di assenza totale di invenzioni, trovate o anche semplicemente scene divertenti e coinvolgenti. Non si sente empatia per i protagonisti e per la loro voglia di sopravvivere. è palese quanto sia percepibile la finzione attorno a tutta questa pochezza. Si spera solo che possa finire presto, ma non è così.

Quell'ora e venti sembra non finire mai. E l'unica cosa veramente degna è che il più insopportabile dei tre muore per primo.
Come se non bastasse, a fine film, la cosa più volgare che potesse capitare: un lunghissimo e sfiancante finale didascalico che, con un pippone, cerca di spiegare tutto per filo e per segno, portandoti solo a gettare lo scroto a terra. Fine dei giochi.



IL MIO VOTO: 1.0








sabato 10 marzo 2012

Ghost Photos: The Cursed Images





Ghost Photos: The Cursed Images
Giappone, 2006. Genere: Horror. Durata: 72'



Ci sono volte in cui, dopo essersi fatti una scorpacciata di cinema d'autore, vuoi rilassarti con un filmetto di questi tre requisiti: che sia una commediola tutta risate o un horror con facili sussulti, che sia breve e che abbia un bel po' di belle attriciuole. Cervello spento, magari una birrozza, un paio di popcorn...chissene se la trama è la stessa di altre ventordici pellicole. E' in un clima del genere che ho preso visione di questo sconosciuto (tant'è che su internet NON ESISTONO INFORMAZIONI circa i nomi di regista e cast), ma comunque reperibile con sottotitoli inglesi, prodotto horror straight-to video giapponese. Prodotto uscito ben quattro anni fa, ma reperibile solo ora. Che dire? Le premesse per un horrorrino di serie-z c'erano tutte, eppure pur essendo lontano dall'essere buon film (anzi, si mantiene più o meno sulla decenza), è ben sopra la media rispetto agli orrendi straight-to-video americani.

Senza, ovviamente, dire nulla sulla trama -originale quanto una pizza margherita, con reminescenze di ogni horror orientale sulla piazza (scene rubate da "Kairo" e "Shutter", citazioni e richiami, poi, a "The Ring", "Ju-On", "The Call"...) e con twist finali telefonatissimi e poco credibili- il film riesce nel suo compitino, ovvero incutere un briciolo di timore.



Non parliamo di paura, nè di sussulti, per carità...anzi, il regista, consapevole del basso budget (alzato, comunque, dall'uso massiccio di pubblicità occulta: saranno stati contenti, infatti, quelli della Vodafone Japan) a disposizione e dell'impossibilità di avere effetti speciali straordinari, fa del suo meglio per confezionare - più che un film horror- una leggenda urbana da raccontare a scuola agli amici (cosa astutissima per un horror low-budget). Ed è forse per quest'ultimo motivo che è nato "Ghost Photos": un horror per signorine, che non osa (assenti spaventi, dosi di suspense, gore e tutti gli elementi tipici degli horror, se non i clichè...), ma che ha i suoi momenti (bella la scena in cui la protagonista intravede delle gambe da parte al suo banco di scuola, agghiacciante il suicidio del ragazzo in fuori campo- memore di "Kairo") e un po' di riuscita tensione (la scena finale, la lunga sequenza notturna nel bosco).

Parlando di tecnica, per essere un prodotto homevideo, "Ghost Photos" vanta una buona recitazione (bravina, oltre che bellissima, la protagonista) e una regia poco ispirata, ma che mai scade nel televisivo (cosa ormai comune): insomma, due pregi che molti altri colleghi di certo si sognano...

Per il resto: un horror in cassetta senza troppe pretese, prevedibilissimo, con una trama insignificante, un'indagine che fa acqua da tutte le parti e che giunge ad una spiegazione finale poco soddisfacente. Disprezzabile, ma meglio di moltissimi horror americani osannati (l'inguardabile banfa "Paranormal Activity"?)e con almeno un paio di spunti interessanti. Solo per gli inguaribili del cinema horror asiatico, come il sottoscritto. 



IL MIO VOTO: 6.0








Chain


Chain
Giappone, 2005. Di Ryuichi Honda. Con Sawai Miyuu, Miura Aoi, Yamamoto Hiroshi, Nakajima Hiromi, Wagatsuma Miwako, Sagara Mirai. Genere: Horror. Durata: 71'.

Alcune ragazze ossessionate dal cellulare ricevono via sms una strana catena di sant'Antonio: una ragazza vuole vendicare la morte della migliore amica e cerca, via sms, gli autori del delitto. Chi non spedirà il messaggio a 18 persone verrà ucciso dalla ragazza stessa. Inutile dire che le ragazze pensano sia il solito scherzetto e fanno finta di niente, almeno fino a quando, una dopo l'altra, non iniziano a morire in modo molto sanguinolento...

Film horror low-budget giapponese, distribuito in patria direttamente in homevideo. Seguendo la scia della fortunata (e fig.a, escluso il brutto terzo episodio) trilogia "The Call", anche prodotti low-budget del mercato horror giapponese si sono sbizzarriti con l'associazione tra cellulari e orrore, così come fece il gradevolissimo, sebbene poco originale "Ghost Pictures: The Cursed Images", e come fa questo "Chain " (conosciuto anche con il nome "A Chain Of Cursed Murders") , che sembra quasi un remake del bellissimo "The Call" di Miike.

Il regista di questo filmetto è Ryuichi Honda, sconosciuto ai più, eppure con una lunga carriera di V-Cinema alle spalle e, sembra che non dia alcuna importanza al comparto tecnico. Infatti, la regia è assente, basata su riprese traballanti o fisse senza alcun esito estetico, la fotografia è assente, talmente non curata da sembrare che il film sia girato con un cellulare (giusto per restare in tema ahhahaaha), la recitazione è ai minimi storici e la sceneggiatura è totalmente derivativa, sebbene gli effetti speciali siano molto più riusciti di certi horror americani ad alto budget fatti tutti di orrenda computer graphica.

Ma "Chain" ha un pregio davvero invidiabile, quello che tutti i film di serie-b tentano di fare e non sempre ci riescono: divertire e svolgere il proprio compito con destrezza. "Chain" è infatti un horror divertentissimo, in grado di coinvolgere e di offrire tutto ciò che concerne al genere: salti sulla poltroncina, un po' di originali scene sanguinolente (bellissima quella del bagno pubblico), un po' di ironia, belle ragazze e un finale che tenta il terrore (che non arriva, ovvio, visti gli scarsi mezzi).

Ma il film non è neanche tanto stupido come si possa pensare. In "Chain", infatti, vi sono molti temi affrontati, come l'incomunicabilità (sottolineata dalla scena in cui quattro amiche, seduta una di fianco all'altra, comunicano tra loro via sms) o il difficile rapporto studenti- professori (il professore che sbircia sotto i banchi delle alunne per vedere le gambe delle più carine), sostenendo comunque un ritmo sostenuto e coinvolgente.
Perde un po' di fiato solo quando si ha l'indagine, il ritmo si placa e le spiegazioni si fanno prevedibilissime, fino ad un colpo di scena improbabilissimo, ma almeno abbastanza spiazzante.

Un filmetto breve, fulmineo, divertente, un film che spesso ci vuole per rilassarsi tranquillamente. Per i non-amanti del genere, comunque, lo sconsiglio: non è nulla di trascendentale e la bruttezza della tecnica quanto l'improbabile finale con il solo scopo di causare lo "schock", potevano essere facilmente evitabili. Sufficiente, nulla più. 

IL MIO VOTO: 6.0









Hikiko-San: Scream Girls



Hikiko-San
Giappone, 2008. Di Nagaoka Hisaaki. Con Kawai Kyoko, Kawanishi Maki, Chiharu, Erika, Fujiwara Shiori, Takahashi Mai, Shirasu Keiko, Mikami Takashi, Sanada Setsuko. Genere: Horror. Durata: 64'. 

C'è la leggenda urbana di una ragazza, Hikiko, morta in seguito ad un gioco crudele delle sue compagne di classe. Hikiko, infatti, era una ragazza timida e asociale, frequentemente vittima di atti di bullismo. Ora si pensa che Hikiko si voglia vendicare sui vivi, presentandosi come un fantasma dal volto mutilato che maledice le scolarette di un liceo giapponese. Un gruppo di ragazze decide di far luce sul mistero e fermare la maledizione. 

Horror in cassetta praticamente inguardabile. Girato senza estro, nè tecnica, nè originalità, racconta la solita leggenda urbana in un contesto da homevideo casalingo, dove l'unico appiglio del regista è mostrarci bellissime ragazze nipponiche in divisa scolastica.

Indecente nella recitazione dalle pessime fotografia e regia, nella narrazione inesistente, nel tentativo innocuo di spaventare con piccoli colpi bassi, con qualche accenno di splatter (e gli effetti speciali, sebbene rudimentali, sono uno dei pochi assi nella manica del film), con un finale stupidamente lungo che sfiora il ridicolo. Qualcosa di inquietante c'è, ma a questo punto meglio vedersi capolavori del j-horror come "Ringu", "Noroi", "Dark Water" e molti altri.

Un film fortunatamente sconosciuto, perchè il panorama horror giapponese è decisamente uno dei migliori al mondo. Questo film è una di quelle eccezioni che confermano la regola: dura poco più di un'ora ed è una mattonata sulle palle, inutile, pedante, scritto e realizzato con i piedi. Un vero e proprio calvario. 

IL MIO VOTO: 3.0










High School Musical China



High School Musical China
Cina, 2010. Di Shi-Zheng Chen .Con Joe Cheng, Yongchen Liu, Junning Zhang, Lin Qi, Zihan Ma, Gu Xuan. Genere: Commedia/Musicale/Romantico. Durata: 89' 

Poet è il solito ceffo carino, simpatico e romantico, con la passione per la musica e l'odio per il basket, che è costretto a praticare. Arriva una ragazza, carina e studiosa, con una voce melodiosa. E c'è il corredo degli amici di lui, tra smorfiosette superstar e tizi ultracool fuori di testa ed effemminati. Nel loro liceo inizia una competizione di canto, alla quale la ragazza vorrebbe partecipare (con disappunto dei genitori), e tra lei e Poet nasce l'amore...

O, MIO, DIO.
Non oso nemmeno esprimermi.
L'orrore espresso da una chiavica come l'"High School Musical" americano, film orrendo come pochi, con un corredo d'attori da prendere a schiaffi, mi aveva allontanato da una delle serie (con "Twilight") più irritanti del cinema in toto, che sta addirittura seminando remake un po' ovunque. Brasile, Messico e, ora, pure in Asia. In Cina, dove la Disney vorrebbe avere le redini per garantirsi i portafogli dei giovani del paese più popoloso al mondo. E l'ho visto. Sì, l'ho visto, per curiosità e, invero, con un po' di paura.

Poteva uscirne qualcosa di decente? Ovviamente no. Anzi, ammettiamolo: il film è un vero schifo. Sicuramente meglio dell'originale, dove se gli attori erano di un'antipatia allucinante, qui almeno hanno una loro simpatia (nonostante i personaggi stereotipati e irritanti che incarnano) e c'è quel gusto esotico tutto orientale che rende la visione almeno sopportabile.

Per il resto. La solita, inguardabile solfa. Un film che vive di coreografie e vestiti super-ultra-trendy-cool, bei visini, zero talento attoriale o registico. Musica dance-pop, umorismo spicciolo, scene melò di quart'ordine e un trionfo finale talmente osceno da indurre chiunque a scegliere la vasectomia a questo scempio. 

Ed è desolante che una catastrofe del genere venga dal cinema cinese, che sforna - grazie anche a registi come Jia Zhang-Ke o Lou Ye- film dall'altissimo valore artistico. Veramente inguardabile, esagerato, involontariamente grottesco.

IL MIO VOTO: 0.0








A.K.A. Serial Killer



A.K.A. Serial Killer
Giappone, 1969. Di Masao Adachi. Genere: Documentario. Durata: 86' 

Al regista Masao Adachi, regista del classico "Gushing Prayer" viene commissionato un film documentario sul fatto di cronaca di un diciannovenne che ha compiuto quattro inspiegabili omicidi. Adachi ne ricostruisce l'azione osservando i luoghi chiave dell'azione e, con brevi voice-off rende noto l'episodio tra un luogo e l'altro...

Ecco un film da "Oh my God, what the fuck is that?", ovvero un film sul niente. Nessun attore, nessuna sceneggiatura, il niente. E chiederete "che senso ha guardare una cosa simile?". Beh, si tratta di un documentario. Un documentario su cosa? Un documentario su un ragazzino che uccide quattro persone e viene scoperto e incarcerato. 

Un voice-off ne racconta i tratti generali degli omicidi e della vita del ragazzo, in linee molto generali, comparendo ogni 5 minuti. E cosa mostrano le immagini? Luoghi in cui il ragazzo ha vissuto, lati della città e poi della casa. Piccoli dettagli immobili, vuoti, senza persone. Universo straniante e destabilizzante di Adachi, uno dei registi giapponesi più outsider degli anni '60, che alla richiesta di commissione di un documentario sull'accaduto, rifiuta la linea tradizionale del documentario /interviste, ricostruzioni, fotografie) per addentrarsi nell'originalità, sicuramente noiosa, ma nella sua stranezza, ipnotizza. 

E la colonna sonora di jazz sperimentale strania, spiazza, distrugge. Un film difficilissimo, non lo consiglierei a chi cerca linee di narrazione convenzionali. Ed è proprio nella sua difficoltà, nella sua stranezza, che convince. 

IL MIO VOTO: 7.5