venerdì 30 settembre 2011

Stay Alive


Stay Alive
USA, 2006. Di William Brent Bell. Con Jon Foster, Frankie Muniz, Milo Ventimiglia, Samaire Armstrong, Sophia Bush, Adam Goldberg, Jimmi Simpson. Genere: Horror. Durata: 80' 

Film bistrattato, criticato e flagellato sin dall'epoca della sua uscita, "Stay Alive" è il classico filmetto horror americano per adolescenti che vive di certi strafalcioni inevitabili (i momenti di tenero tra i protagonisti nei momenti meno opportuni), personaggi stereotipati (qui ce ne sono solo un paio che non siano verosimili, ma sono irritanti come dieci persone diverse, vedasi Frankie Muniz e Jimmi Simpson) e un immaginario totalmente rubato dalla cinematografia horror orientale (dal classico "The Ring" a film minori, ma comunque piacevoli come "Il Fiore Della Vendetta", che, guardacaso, aveva un videogioco come centro della narrazione). Non manca poi nemmeno la tristissima trovata, tipica di molti horror contemporanei, dove il protagonista si riaffaccia alle proprie paure infantili per salvare la situazione e risolvere il mistero.

Eppure, contrariamente a quanto si dice, nonostante i mille difetti e un finale decisamente poco efficace, nonostante ci provi, terribilmente americano e baraccone, che lascia aperta la via dei sequel (mai arrivati) e apre voragini nella sceneggiatura, il film a suo modo funziona. In un decennio di crisi per il cinema statunitense, soprattutto quello di genere, è bello vedere che escano prodotti anche bruttini, eppure ispirati, nonostante le mille citazioni, in grado di trasmettere balzi sulla poltrona e tensione.

Il film si mantiene sufficiente, grazie a semplici ed efficaci apparizioni spiritiche, invero in computer graphica, ma spesso giocate sul vedo-non vedo che funziona sempre in quanto a tensione. "Stay Alive" è il tentativo di rileggere in chiave ipermoderna il genere horror del gotico, cercando di portare una ventata d'aria fresca al genere. Non ci riesce, ma se ne apprezza lo sforzo, anche perchè, durando pochissimo riesce ad intrattenere e a divertire con destrezza.

Non importa quindi, che almeno due dei personaggi siano irritanti e che gli altri si comportino in maniera decisamente poco brillante, o che il protagonista sembri uno stoccafisso, questo è uno di quei film in cui conta il ritmo e il coinvolgimento. Un filmetto onestissimo e consapevole dei propri limiti, che punta solo ad intrattenere e divertire per poco meno di un'ora e venti. Il risultato è di quelli che si dimenticano in fretta, ma non delude eccessivamente.

IL MIO VOTO: 6.0






Trailer:


giovedì 29 settembre 2011

Imagine



Imagine
Giappone, 2004. DI Hiroki Narimiya. Con Hiroki Narimiya. Genere: Sperimentale. Durata: 45' 


Un ragazzo e il suo sogno di volare. Prova a costruire delle ali meccaniche, ma forse non serviranno. Cerca di farlo attraverso l'immaginazione, la riscoperta dell'infanzia e l'arte. E forse ce la fa. Ma quanto lontano può andare? 


Cosa frulli nella testa di Narimiya, solo lui lo sa. Attore apprezzatissimo dalle giovani giapponesi e dalle doramiste di tutto il mondo, talentuoso ma con quel suo stile da idol acchiappapubblico che, spesso, è fonte di impulsi omicidi. Lui solo sa cosa lo abbia spinto a realizzare un film come "Imagine", di cui è anche regista e sceneggiatore. Inaspettatamente, un film che di commerciale non ha assolutamente nulla. Un film che pare più una videoinstallazione e che, incredibilmente, si rivela davvero splendido.

Al di là di certe parentesi visive un po' ingenue, ma perdonabili, questo mediometraggio è un tuffo a capofitto nell'individualità propria del suo autore e, per questo, non pienamente comprensibile da tutto il pubblico. Un elogio all'arte che vive di immagini pure, cristalline e diverse tecniche di ripresa, riuscendo ogni volta ad essere goduriosamente genuino. Il suo lavoro può sembrare pretestuoso e, forse, è per questo che dividerà in due il pubblico. è un film che o si ama, o si odia, completamente esente da narrazione e dialoghi (salvo la frase finale, che è chiave di volta dell'intero film), che riesce ad infondere quella ricerca di purezza e redenzione che lo stesso personaggio cerca nell'intero minutaggio.


Un film che riesce a destabilizzare, grazie a trovate visive e teoriche geniali (la scena della vasca piena di acqua sporca, emblema del battesimo nella sporcizia).

"Imagine" non raggiunge mai le vette del capolavoro o quel maledettismo che, forse, gli sarebbe convenuto (i momenti di brividi visivi si raggiungono, infatti, nelle riprese notturne ad infrarossi), per il suo compiacimento palpabile, eppure riesce a colpire. Perchè è un'opera che impacchetta il lato bambinesco del suo autore, per esorcizzarlo e continuare a vivere.


Un elogio ad arte e vita che, volenti o nolenti, rimane impresso. Di certo è un film che si può spiegare ad immagini e non a parole. Tanto vale sbarrare, per una volta quegli occhi e non essere spettatori passivi, che magari, una volta tanto, ci si può anche immedesimare in quella ricerca disperata dell'innocenza. Veramente bello.


IL MIO VOTO: 8.0








Scene: 






mercoledì 28 settembre 2011

Baby Shower


Baby Shower
Cile, 2011. Di Pablo Illanes. Con Nicolàs Alonso, Ingrid Isensee, Patricia Lopez, Claudia Burr, Francisca Merino, Sofia Garcìa, Alvaro Gomez, Marìa José Illanes, Pablo Krogh, Berta Lasala, Kiki Red, Gesù Porres. Genere: Horror. Durata: 92'

Un horror cileno. Questa, francamente, mi mancava e la trama sembrava già sulla carta promettere molto bene. Quello che si poteva evincere, infatti, era un "à l'Intérieur" al contrario, con la donna incinta assassina verso l'esterno, con tanto di sette religiose (!) e yoga (!!!???). Il risultato poteva essere qualunque cosa, e sia un thriller psicologico che un delirio alla Miike in salsa pulp.Ma "Baby Shower" non prende nessuna delle due direzioni.

è un horror abbastanza originale, nonostante la pre-impostazione di slasher, che esplode alla confessione di un segreto torbido che lega quattro donne, una volta amiche, ma ora forse non più. Il genio nella pellicola sta nel ribaltare totalmente i punti di vista, nell'insidiarsi nella psiche dei suoi personaggi e farle fuori. Sia in senso fisico che figurato.

Il regista è eccellente e calibra inquadrature e ritmi con sospensioni, momenti morti e parti di adrenalina pura (tutta la parte finale nei boschi è un tour de force davvero invidiabile) e, aiutandosi da un cast (quasi) tutto al femminile ben sopra la media, realizza un film di paura che non cerca il facile brivido, ma che lo esplora a fondo, prima di un'aspettata esplosione. Sangue (indimenticabile l'impressionante scena a cui è destinata la ragazza che sniffa cocaina), suspense, terrore psicologico. Qui c'è tutto quel che serve per fare un horror: divertentissimo, avvincente e che evita magistralmente il trash, nonostante un budget ridotto.

Nulla di eccezionale, ma se tutti i prodotti horror  occidentali contemporanei fossero così...

IL MIO VOTO: 7.0 








Trailer:

Cure


Cure
Giappone, 1997. Di Kiyoshi Kurosawa. Con Koji Yakusho, Anna Nakagawa, Masato Hagiwara, Tsuyoshi Ujiki. Genere: Thriller. Durata: 111'
Il punto focale della narrazione di "Cure" è il non senso, la mancanza di nesso logico, l'impossibilità allo spettatore di immedesimarsi nel serial killer che sembra compiere brutali delitti, incidendo una "X" sulle ugole delle sue vittime.
In "Cure" persone normalissime, senza alcun precedente e senza apperentemente motivo, uccidono individui sconosciuti o parenti, spinti da uno spirito guida che li governa con l'ipnosi. È da qui che comincia il viaggio negli inferi del commissario Takabe, incredulo di fronte ad un mistero surreale, che dietro la sua mistica corazza di uomo di legge si nasconde una creatura fragile, abituata alle indagini tradizionali: prove, movente e, quindi spiegazione e risoluzione del caso.
Qui non c'è nessuna spiegazione e ciò basta a far crollare un castello di certezze costruito con fatica negli anni, insinuando in Takabe il germe della follia e della malattia, che lo porterà ad apparentarsi con i problemi mentali della moglie e ad immergersi in un vicolo buio senza uscita.
Di fronte al mistero più insolubile e all'assenza di movente le certezze dell'uomo vacillano e naufragono, lasciando via libera al caos più inconfutabile.
Dopo aver girato parecchi film a cominciare già dagli anni '70, il regista giapponese Kiyoshi Kurosawa viene, finalmente, riconosciuto dall'occhio occidentale con questo "Cure", del 1997.
"Cure" che scava nel pozzo dei generi per ricavarne nuova materia da modellare, a detta di Kurosawa "Il mio cinema è fatto di universi sfilacciati e inafferrabili, dove la ricerca della verità, di una ragione o di un motivo sembra arrivare a conclusioni vittoriose che poi però si attorcigliano sempre, si espandono verso confini che non si possono misurare, trasformando lavori che partono come storie di genere in abissi dell'incomprensibilità delle ragioni dell'uomo e delle sue azioni". Come dargli torto? Questo piccolo grande thriller, in fondo, parte assai normalmente con il ritrovamento del cadavere di una prostituta e Takabe nota l'esistenza di altri delitti con il medesimo modus operandi, ma più passa il tempo e più la storia si fa complicata e profonda, ai limiti dell'assurdo.
Non servono i fantasmi, le apparizioni dall'aldilà, le sanguinose vendette orientali e gli spettri folkloristici giapponesi per dare scompiglio e terrore. A Kurosawa interessa il mondo terreno, fisico e quotidiano: la realtà di ogni giorno può essere molto più inquietante del fantastico, dell'irrazionale, del mostruoso e in una società come la nostra un abile ipnotizzatore può diventare inaspettatamente un letale strumento di morte e distruzione.
Ed ecco che il climax delle musiche, la suspense che porta all'omicidio e la tentennante paura della vittima che si guarda attorno dopo aver sentito uno strano rumore non esistono più: Kurosawa ci mostra l'omicidio senza preavviso e senza l'ausilio di una colonna sonora (qui assente).
Un fulmine a ciel sereno, che coglie alla sprovvista lo spettatore, lasciandolo inebetito e spesso incredulo nel credere o meno a ciò che ha appena visto.
La regia, ancora una volta, è sorprendente: bellissimi piani-sequenza, montaggio ampio e rarefatto, raramente serrato e una messainscena sobria e asciutta, senza fronzoli.
Un'altra invenzione del cinema thriller o semplicemente di paura è l'assenza della colonna sonora: se per i registi (sia occidentali che orientali) di film horror, ma anche per gli ultimi film del terrore dello stesso Kurosawa la musica è importante per creare suspense e tensione, qui si propende il silenzio assoluto, che rende il suono ancora più cristallino e "vero" nella sua forma più pura.
Perché la vera colonna sonora di questo film è ciò che ci sta attorno, elementi della vita quotidiana: il vento che fa muovere le fronde degli alberi, le onde del mare che vanno a morire sulla spiaggia, una lavatrice in funzione.
Un piccolo teatro dell'assurdo, in cui tranciare le carotidi delle vittime con una "X" modellata con il sangue diviene uno strumento di riconoscimento e una firma personale, senza spiegazioni psicologiche o scientifiche, dove la perdita della memoria (l'ipnotizzatore, che non ricorda più nemmeno il suo nome) è uno specchio che riflette la perdita dell'identità di una nazione turbata e incerta, confusa e spaventata e dalla semplice domanda "chi sei? Come ti chiami?" non si può altro che rispondere "e tu chi sei?", creando un gioco potenzialmente infinito e snervante, ancora una volta senza soluzione logica e senza senso.
Splendidamente realizzato, con lunghi silenzi e una macchina da presa abile, "Cure" è un film da vedere assolutamente se si vuole vedere qualcosa di veramente nuovo, dove tutte le regole del thrilling vengono distrutte, senza lasciare risposta, dove gli attori sono uomini che hanno perso l'anima e la speranza, incapaci di andare oltre una realtà logica e ordinata, che ormai, non esiste più. Un capolavoro del (non)genere.
IL MIO VOTO: 10.0







Trailer:



Pulse



Pulse
Giappone, 2001. Di Kiyoshi Kurosawa. Con Koyuki, Kumiko Aso, Koji Yakusho, Haruhiko Kato, Kurume Arisaka, Kenji Mizuhashi, Go Takashima, Atsushi Yuki, Shinji Takeda, Jun Fubuki. Genere: Horror. Durata: 119' 


"La Morte è un isolamento eterno" sospira a fatica uno spettro alla fine di questo "Pulse", un film che non vuole essere un semplice horror, non vuole spaventare, nè tanto meno scioccare con picchi di violenza insensata, vuole essere una profonda esplorazione del rapporto tra morte e solitudine, riuscendo a fare centro con grande classe, diventando, paradossalmente, un film spaventoso e uno dei più agghiaccianti in circolazione.
Non ci troviamo più di fronte ai soliti spettri della tradizione folkloristica orientale. Non esistono più le varie Sadako e Kayako, ma neanche Toshio, nè Mimiko, nè la Yoko di "Seance", film horror televisivo dello stesso Kurosawa. Diciamo Addio, quindi, alle ragazze dall'andatura catalettica, la pelle cerulea, i lunghi capelli corvini a celare lo sguardo pieno di sangue e vendetta: qui ci sono spiriti abbandonati a un destino vuoto, inghiottiti in un buco nero in cui la pace eterna non può giungere.
Sono spettri che implorano pietà: quell' "aiutami" sussurrato da ogni fantasma prima e dopo la sua apparizione è il simbolo di un popolo di anime perdute, sospese in un oblio senza meta, orfone in un Purgatorio oscuro e deprimente.
Kurosawa non si cura di come questi fantasmi possano raggiungere le reti informatiche, trasformando in ectoplasmi e spingendo al suicidio gli incauti internauti, ma esplica il terrore derivante dall'uso indiscriminato di uno degli strumenti tecnologici più rivoluzionari e potenti di questi anni, pronto a far naufragare i contatti umani e a ridurre la vita sociale attraverso un susseguirsi di freddi e atonali click del mouse, di rapporti virtuali spesso fittizi e di immagini che nascondono la realtà.
I personaggi sono freddi, passivi, senza più la loro personalità, la loro individualità, ad eccezione forse per lo studente Kawashima (guarda casa il meno esperto di informatica dell'intera pellicola) e circolano in un ambiente silenzioso che pian piano si svuota di vita: sale giochi vuote, autobus vuoti, metropolitane vuote, supermercati vuoti...
La pazzia dovuta al silenzio eterno, all'alienazione e alla solitudine è inevitabile, così come la morte. Eppure quell' "aiutami" pronunciato dai fantasmi pare una semplice e sincera richiesta di aiuto, un abbraccio, un legame con un mondo ormai perduto, il disperato tentativo di ritornare quelli che si era prima. Ma ciò che resta realmente di loro è solo una macchia di umidità sul muro. Un ricordo per chi ancora può permettersi di vivere.
Ed ecco che tra le maestose e struggenti riprese avvolgenti, lo sguardo stranito dei protagonisti e i silenzi, Kurosawa ritorna a inserire una colonna sonora in un suo film (il commento sonoro era totalmente assente nel capolavoro "Cure" e appena accentuato nello strano "Charisma"), che non è musica, ma un susseguirsi di rumori metallici sincopatici e taglienti, così disturbanti da mozzare il fiato, portando il terrore con potenza e intensità nelle sequenze in cui la raffigurazione della paura giunge all'apice.
Da ricordare l'agghiacciante, quanto splendida e poetica scena in cui una bellissima Harue dallo sguardo innamorato abbraccia il nulla e sussurra "Non sono più sola", mentre la telecamera la riprende con geniali scatti, pezzi di un gioco di specchi digitale. L'angoscia prende, così, inevitabilmente il sopravvento e l'unica cosa logica da fare è mettersi in fuga, non importa dove, forse in mare aperto per poi trasformarsi in inquietanti macchie di umidità sul muro, per poter lasciare un ricordo di sè in un mondo da abbandonare.
Un devastante capolavoro, da cui ne fu tratto nel 2006 un inguardabile e orrendo remake americano con attori insulsi e una sceneggiatura che sembra essere scritta su un pezzetto di carta igienica. Guardate l'originale e capirete che i fantasmi sono simili a noi: anche loro soffrono, anche loro vagano soli.
Harue: "Non c'è nessuno, chissà perchè non c'è nessuno"
Kawashima: "Io ci sono"
Harue: "Cosa?"
Harue: "Potrebbe scomparire l'intera umanità, ma l'importante è che ci sono io e che ci sei anche tu"
IL MIO VOTO: 10.0 




Trailer:



martedì 27 settembre 2011

Mysterious Island



Mysterious Island
Cina, 2011. Di Kai Cheung Chun. Con Jordan Chan, Mimi Yang, Tien You Chi, You-Nam Wong. Genere: Horror. Durata: 99'


Caso più unico che raro. Un film horror cinese mainland esente da censura. Fatto vuole che gli horror cinesi fossero al centro dei controlli della censura cinese, che impone la massima verosomiglianza nelle sceneggiature dei prodotti cinematografici. Per questo motivo film come il gradevole "Suffocation" sfruttavano i momenti di terrore e tensione nelle scene oniriche. Fa strano vedere un film come "Mysterious Island", spacciato in patria e nel mondo come un film sanguinosissimo, sulla scia dei torture porn americani. Poteva la Cina essere esclusa dallo stato di culto internazionale di cui godono ormai da tempo le pellicole coreane, giapponesi, thai, hongkongesi e, da poco, taiwanesi? Ovvio che no, e forse è meglio così. è bello vedere un cinema sottoposto a regole ferree finalmente trovare un po' di aria respirabile. Purtroppo, però, succede che "Mysterious Island" si rivela un film molto deludente.


Un film che, sicuramente, non annoia mai, grazie al ritmo sostenuto che il regista riesce a costruire, calibrando suspense, azione, ritmo e sobbalzi sulla poltrona con grande maestria. Nonostante i poster promozionali incitanti all'horror più sanguineo, però, l'emoglobina in questa nuova prova della paura mainland latita. è un film che sembra uscito dagli anni '80, dove si sfrutta un pretesto subito mandato a puttane per giustificare il massacro dei soliti bellocci (un survival reality show, originalità portaci via), che non viene mai mostrato, o quasi. "Mysterious Island" sembra uno di quei brutti slasher che gli Stati Uniti ci propinava allora, come tutt'ora, ma con un filino di classe in più. Il mistero alla base del film è una leggenda ubrana, subito accantonata, ma comunque inquietante e interessante: l'isola dovrebbe essere infestata dagli spettri degli abitanti lebbrosi di un antico villaggio lasciati lì a marcire.

E quindi che cos'è? La classica ghost story asiatica? Un survival thriller? Uno slasher? Boh. è un horror indeciso sulla strada da prendere e, prima, si apre quasi come un action, con i protagonisti che combattono contro le insidie della natura, poi cerca di spaventare con i soliti violini opprimenti e i sobbalzi improvvisi, poi si fa slasher e poi tenta la strada del torture porn solo per pochi secondi, giusto per non contraddire le intenzioni iniziali. è ben girato, ma non riesce ad essere convincente: é un film prevedibile e di personaggi irrilevanti che non fanno altro che dirsi "Sei tu l'assassino!" "No, sei tu!",come in una qualsiasi scialba copia di "Scream": A poco serve l'indovinato e minaccioso paesaggio naturale, il regista lo sfrutta molto poco, forse preferendosi soffermare sulle (notevoli) curve delle protagoniste femminili.



Alla fine c'è l'aspettato colpo di scena (purtroppo telefonato) e la classica eroina gnocca senza macchia e senza paura che salva la situazione, prima dell'immancabile cliffhanger.

Insomma, un film deludente e tremendamente inutile, che non annoia e riesce persino a divertire, ma che è prevedibile e quasi televisivo. Come leggere per filo e per segno un libro che già si conosce a memoria. Un peccato, bisognerà vedere gli sviluppi del cinema di genere cinese. Ma non allarmatevi: il trailer di "The Devil Inside Me" promette molto bene.



IL MIO VOTO: 4.0







Trailer: 



lunedì 26 settembre 2011

Five Senses Of Eros

Five Senses Of Eros
Corea Del Sud, 2009. Di: Byun Hyuk, Hur Jin-ho, Min Kyu-Dong, Oh Ki-hwan, Yu Yong-sik. Con: Bae Chong-ok, Cha Su-yeon, Eom Jeong-hwa, Hwang Jung Mi, Jang Hyuk, Kim Dong-wuk, Kim Gyu-ri, Kim Hyo-jin, John D. Kim, Kim Kang-woo, Kim Su-ro. Genere: Drammatico/Romantico/Film A Episodi. Durata: 128'

Cinque registi coreani raccontano l'eros a modo loro: un uomo sposato rimane impressionato dalla bellezza di una ragazza incontrata sul treno, una coppia cerca di vivere al pieno l'amore prima che lei muoia consumata da una malattia, due attrici sul set di un film horror si contendono lo stesso uomo, due donne che hanno avuto una relazione con un uomo ora morto, distrutte dal trauma, intrattengono un morboso rapporto di amore e odio e degli adolescenti, quasi per gioco, decidono di scambiarsi i partner...

Film che poteva essere interessante, ma che finisce con l'essere la più pudica e finta introspezione dell'eros,inteso non tanto come amore o come atto sessuale, ma come pura attrazione improvvisa per un altro essere umano.

Dei cinque episodi, che tentano di tratteggiare il rapporto di coppia, solo il primo merita davvero: è più in tema, ha una storia abbastanza originale ed interessante e caratterizza molto bene i suoi personaggi, grazie anche all'ingegnosa voice-off, mai lagnosa e per una volta funzionale, nonostante il poco tempo a disposizione. Un corto vincente, che affossa totalmente i successivi, praticamente inutili.

Il secondo ha la passione della carica erotica, ma è irrilevante, nonostante il regista sia Hur Jin-Ho, pioniere del melodramma, quasi quanto il quinto, che ha un'ottima idea di fondo ma non la sviluppa appieno, finendo tristemente nell'anonimato.

Il terzo è orrendo quanto il film che viene girato nell'episodio, buttandola orrendamente nel videoclipparo e in caciara, con due protagoniste irritanti, e il quarto è noiosissimo e inconcludente, ma con qualche buon spunto alla base (il bondage) e una tendenza verso il surreale molto convincente, l'unico (escluso il primo che la supera) a raggiungere la sufficienza, grazie anche ad una bella introspezione sadomasochistica dell'amore lesbico.

Peccato che il film sia un'agghiacciante delusione, destinata a far storcere il naso a tutti. Faticoso ed interminabile, non mantiene neppure quello che promette (l'eros)e diventa soporifero.

IL MIO VOTO: 5.5








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domenica 25 settembre 2011

Evil Twin



Evil Twin
Corea Del Sud, 2006. Di Kim Ji-hwan. Con Park Sin-hye, Jae Hee, Yang Geum-seok, Park Myeong-shin, Yang Jin-woo, Han Yeo-woon, Jeong Sang-hun, Bang Eun-mi. Genere: Horror. Durata: 96'

Corea Del Sud, diciannovesimo secolo. So-Yeon si sveglia da un coma e non ricorda niente. Pian piano, attraverso le parole degli abitanti, capisce che è successo qualcosa di terribile: aveva una sorella gemella che è morta in un lago, dov'era caduta anche So-Yeon, la quale -però, è sopravvissuta grazie all'intervento della madre. Nel momento in cui So-Yeon si sveglia cominciano ad avverarsi misteriosi omicidi e la stessa ragazza sembra essere perseguitata da un fantasma vendicativo...

C'è un lago, c'è un fantasma, c'è una ragazza con l'amnesia, c'è un bosco, ci sono ombre e c'è un'ambientazione che anticipa i bellisimi arredi del capolavoro "Two Sisters" di duecento anni. Sembra figo, ma NO, NO..."Evil Twin" è tutto sbagliato, proprio come me lo ricordavo.
Lo vidi un paio di anni fa e ne rimasi spiazzato da quanto fosse mortalmente noioso. Non ricordavo nient'altro. Solo che era la morte. Ma ora, incappato nel buon thriller-horror d'epoca "Blood Rain", ho deciso di recuperarlo, visto che letta la trama sembra più che figa.

"Magari non l'ho seguito molto bene, ho perso i pezzi e mi sono addormentato". Ah, autorimproverandomi, riprendo quel malaugurato horror coreano (e io adoro alla follia gli horror coreani) ed è già incubo. Non di quelli belli.
Il film punta sulla bellezza delle inquadrature, sulla facile patina che crea sospiri, su quei colori che acchiappano, sulla splendida ambientazione storica che aggiunge ancora più mistero e si rivela fascinosa e accattivante. Purtroppo sotto la patina c'è, e questo me lo ricordavo molto bene, la noia assoluta.
"Evil Twin" tenta di essere "Il Two Sisters Del Diciannovesimo Secolo" (ancora una volta il rapporto tra due sorelle, una che vede i fantasmi e una che...vabbeh non scrivo per non spoilerare), ma non ha la storia intrigante, gli splendidi attori, la regia impeccabile, le magnifiche scene di paura, i colpi di scena e tutto ciò che rende "Two Sisters" un film imperdibile, un vero e proprio capolavoro del genere horror.

Qui si cerca di arrivare ad un'atmosfera straniante, oscura, opprimente, lasciando addirittura più che volentieri nell'ombra il fantasma stesso, ma non funziona, perchè toglie anche quel poco di horror che una pellicola di calma piatta come "Evil Twin" poteva offrire. Tutto è monocromo, senza alcun sussulto, basato solamente sugli effetti sonori sparati a casaccio, su imponenti musiche di suspense occidentali e su un lieto fine che non poteva essere altrimenti...
e per risollevarlo non bastano la buona prova della protagonista e una scena splendida come quella girata, verso la fine, sott'acqua...uno stupendo abbraccio che dà senso al film. Tutto è scontato, prevedibile, e nonostante il tentativo del regista di creare un ritmo insieme elegante e serrato, è una vera e propria NOIA. Non è lento, no, è solo un po' come vedere una partita di calcio di cui si conosce già il risultato. Bocciato.

IL MIO VOTO: 4.0






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Bangkok Kill City



Bangkok Kill City
Thailandia, 2004. Di Oxide Pang, Pisuth Praesaengaim. Con Pete Thongjeur, Pramote Sangsorn, Pimsiree Pimsee, Dawan Singhawee, Kalyanut Sriboonreung. Genere: Horror. Durata: 130'

Tre amiche si incontrano in un bar di Bangkok e, tra una chiacchera e l'altra trovano interessante l'idea di raccontare ognuna una storia dell'orrore in modo da divertire e spaventare le altre due. La prima storia è "Legend Of The Drum" e racconta l'amore impossibile di due giovani fratelli. Lui è disperato quando scopre che la sua amata è innamorata di un altro uomo. Un giorno i due scompaiono e attorno al mistero è emblematica la presenza di un tamburo maledetto, che una giovane ragazza riceve in eredità, scatenando una maledizione su lei, il suo sposo novello e i suoi discendenti.

La seconda storia, "Black Magic Woman" racconta di una fragranza profumata in grado di ottenere il proprio oggetto del desiderio. La protagonista del racconto è innamorata di un giovane uomo d'affari che prende il battello con lei ogni giorno, pur essendo conscia che l'uomo sia fidanzato. Per poterlo avere la fragranza, regalatale da un'amica e subito l'uomo si fa avanti e i due passano una nottata di fuoco. Non sanno, però, che una volta usato quel profumo ha inizio, come pegno, una maledizione che porta sangue, paranoia e morte...

Il terzo episodio è "Revenge", storia di una ragazza trovata impiccata e del suo poliziotto, convinto che non si tratti di suicidio, che parte alla ricerca del suo assassino...


Uscito silenziosissimamente anche nel mercato homevideo italiano con il titolo "Bangkok Kill City", "Bangkok Haunted" è un piacevole horror thailandese sulla media del genere: non peggiora, non eccelle, non eccede.
E' uno di quegli horror piacevoli ed estivi da vedere nei caldi pomeriggi afosi domenicali giusto per qualche brividino facile lungo la schiena. Dietro l'opera Oxide Pang, quel regista che ci gustò, in coperazione con il fratello Danny, quel gioiellino della paura come "The Eye". Definire Oxide un genio è eccessivo visto che di cag.ate ne ha fatte parecchie, quasi quanto Danny. Eppure in questo film Oxide si coalizza con un altro regista: il thailandese Pisuth Praesaengaim, con il quale firma un'operetta che viaggia a ritmo instancabile tra spunti geniali e momenti soporiferi.
L'incipit è affascinante: in una trama e in una premessa che ricorda le leggende urbane, "Creepshow" di Romero, la serie infinita hongkongese "Troublesome Night", "Campfire Tales" e molti altri horror episodici, "Bangkok Haunted" racconta di tre amiche che in un bar di Bangkok si raccontano una storia dell'orrore a testa per spaventare le altre.

La prima, "Legend Of The Drum" è forse la meno riuscita delle tre. Affonda nel clima del folklore thailanedese ma non emerge, in favore di una lentezza quasi esasperante e la completa assenza di brividi. Non basta un paio di occhi privi di pupilla e iride per spaventare. Praticamente la solita solfa di amori perduti, vendette, oggetti vendicativi e quel tocco di passato remoto che non guasta mai. Il viaggiare tra passato e presente funziona, ma l'episodio si rivela tedioso e alla fine non riesce a convincere appieno.

Più originale è il seguente frammento: "Black Magic Woman", non riuscitissimo, ma comunque di grande impatto grazie ad una trama pseudo-erotica e qualche gratuito spavento improvviso con tanto di schizzi splatterosi. Il risultato non è pienamente sufficiente, ma l'episodio funziona e con qualche taglio alle parti prolisse poteva presentarsi come classico a priori.

Il più riuscito dei tre è sicuramente il finale, "Revenge", sorta di episodio psycho-thriller diretto da Oxide con un buon colpo di scena finale. Praticamente è come seguire un episodio di CSI con tanto di fantasmi orientali. Non male. Il tutto porta ad un ulteriore colpo di scena finale inaspettato e ad effetto. Il ritmo cambia di registro rispetto agli altri due episodi: montaggio frenetico, riprese videoclippare e una buona dose di tensione riescono a rendere viva l'attenzione dello spettatore, già sprofondato nella poltrona a causa della continua ricerca della raffinatezza nei primi due episodi.

Non male come opera, come trilogia, come triade, ma "Bangkok Haunted" è un film altalenante, con parti fin troppo prolisse, spesso esasperatamente lento e con qualche derivazione. Grazie all'ultimo episodio e a qualche elemento geniale nei primi due, riesce comunque a farsi seguire con grazia nonostante un ritmo molto narcolettico e una durata eccessiva. C'è comunque di meglio nel panorama asiatico e consiglio questo film solo a quelli che, come me, sono fanatici degli horror orientali.

IL MIO VOTO: 6.0







Trailer: